Regia di Robert Altman vedi scheda film
Comincia con una canzone che dice “dobbiamo avere qualcosa di buono per essere durati 200 anni”, finisce con un’altra canzone che dice “non me ne importa nulla”. Nel mezzo, tutte le contraddizioni dell’America post-Vietnam e post-Watergate (entrambi citati, ma incidentalmente, perché devono servire solo come sfondo), in un informe caleidoscopio dove la struttura corale tipicamente altmaniana trova la sua massima espressione. E al termine, un omicidio rituale (a un certo punto due personaggi parlano di Kennedy...) consumato nella kermesse messa in piedi dal politico qualunquista che viene continuamente evocato, ma che non si vede mai in faccia. Per Altman è il culmine di un percorso di rivisitazione dei generi che aveva avuto come tappe intermedie M.A.S.H., I compari, Il lungo addio, California poker e Gang: non a caso, subito dopo conoscerà un periodo di incertezza. Forse l’esito più significativo del cinema USA anni ’70, ossia di una delle stagioni più straordinarie nella storia del cinema.
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