Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
Perché partire dal principio quando è la fine che conta? La parola amore resiste, si potrebbe riassumere in questo modo il finale di AGENTE LEMMY CAUTION: MISSIONE ALPHAVILLE. I sentimenti ci salveranno da una società crudele, fredda e meccanica, dominata - ieri come oggi – da menti esterne, lontane da noi. Ad Alphaville certe parole sono bandite e sconosciute, e il cervello elettronico Alpha 60 dalla voce metallica (nell’originale una voce tracheotomizzata) guida una umanità disumanizzata a cui è precluso pensare e amare. Chi professa fede, amore, coraggio, tenerezza, generosità, sacrificio viene giustiziato. Tutto dev’essere SILENZIO-LOGICA-SICUREZZA-PRUDENZA. Nella vita c’è solo il presente, nessuno ha vissuto nel passato o vivrà nel futuro. Città asfittica che ruota attorno al dolore, anestetizzata.
L’agente Lemmy Caution proviene dai paesi esterni e si spaccia per giornalista. L’indimenticabile faccia di Eddie Constantine con borsalino e impermeabile alla Sam Spade: gira, fotografa, indaga, subisce interrogatori, spara poiché (non perché) troppo vecchio per discutere. L’unica forza contro la fatalità. Al contrario di Henry Dickson (il grande Akim Tamiroff) non si fa uccidere da Alphaville, bensì è lui a far fuori il professor Von Braun – mente dittatoriale della città. Conosce, trasforma e fa innamorare di sé la bella figlia Natasha (l’imprescindibile Anna Karina) che pronuncerà le frasi d’amour.
Film sperimentale, dalla fotografia in b/n indimenticabile. Non altrettanto i toni avveniristici, oggi datati e banali. Godard - guru dell’immagine dalla citazione filosofica facile - appesantisce con i ritmi lenti del suo sguardo strabico (alla Von Braun), con la presunzione di essere il migliore e con l’ambizione di parodizzare i generi letterari e cinematografici. Si conferma cineasta di intuito, discontinuo, inutilmente prolifico, pubblicitario della Nouvelle Vague e dell’intellighenzia.
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