Regia di Jack Smight vedi scheda film
E' un film discreto, che si lascia vedere senza appassionare. Altri esemplari successivi di questo genere, cioè "Il lungo addio" e "Bersaglio di notte", sono capolavori e lo superano decisamente. I personaggi sono sviluppati quel tanto sufficiente per dare consistenza alla storia, tuttavia non sono troppo approfonditi.
Il cast vede un discreto gruppo di nomi famosi, sia del passato (Lauren Bacall) che del presente (Paul Newman), o di chi sta a metà tra l'uno e l'altro (Shelley Winters). Specialmente Newman è inappuntabile, è vanno a lui i maggiori meriti di un film non troppo riuscito. Jack Smight però è uno di quei registi scolastici e anonimi, che vengono messi lì dalla produzione a dirigere un cast di divi con alcune indicazioni di massima su come dev'essere il film, e fa come gli viene detto. Diciamo che se la cava senza infamia e senza lode. Però con quegli attori a disposizione, e quindi quel budget, si poteva fare un gran film: ci voleva però un regista in gamba e una sceneggiatura meno superficiale.
A margine della storia vediamo l'immagine (sbiadita) di una California gaudente e decadente, ricca e disperata. Lo stesso benessere, tra l'altro, non è sempre frutto di guadagni onesti; la corruzione, il ricatto e lo sfruttamento si annidano un po' dappertutto. Le bizzarre e a volte pericolose sette religiose, strette attorno alla figura di qualche ambiguo santone, sono solo un sintomo del malessere che pervade la società. Anche il ritratto sociale e umano manca però di incisività, colpa credo della già citata sceneggiatura superficiale.
Si segue la trama, si guardano gli attori, ci si svaga con un po' di azione e di inseguimenti: il minimo sindacale per l'intrattenimento c'è. E' forse il vero cinema quello che manca.
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