Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
L'arte cinematografica è la traduzione in immagini e sonoro di letteratura ed arte, tecnica e tecnologia, di storia e fantasia, di cronaca e surreale. Un incantesimo di luci ed ombre, colori e b/n, parole e silenzi, riflessione e leggerezza. In proporzioni variabili. Quando capita che in una sola opera confluiscano quasi in equilibrio tanti di (o tutti) questi elementi, siamo di fronte ad un lavoro meritevole "quantomeno" del plauso degli spettatori al suo autore. Ed a Gabriele Salvatores vanno tutti i miei complimenti per il suo ultimo lavoro, Il ritorno di Casanova. Ma applaudo anche il montaggio di Julien Panzarasa, perché, in fondo, questo film è dedicato al lavoro certosino dei montatori, ossia coloro che mettono insieme ed in sequenza il materiale girato, selezionando e scartando, variando temporalmente oppure seguendo l'ordine cronologico, seppur con la supervisione del regista. Il ritorno di Casanova è il racconto del regista che esiste ma non c'è, che fa i conti col tempo e col Casanova che è in lui, in un presente sbiadito nel bianco e nero a cui fanno da contraltare i colori di Kubrickiana memoria (Barry Lyndon) del film che ha appena finito di girare ma che le sue turbolenze mentali gli impediscono di portare a termine, delegando completamente il lavoro al montatore, appunto. È un cinema nel cinema, in cui al sentimento quasi inesistente o in via di "costruzione" si oppone un estremo cerebralismo. È un cinema consapevole e maturo: l'abilità dietro la cinepresa di Salvatores non ci sorprende più eppure ci sorprende ogni volta. Un cinema che si fa arte anche grazie a Toni Servillo ed a Fabrizio Bentivoglio, un'altra volta ancora.
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