Regia di Elio Petri vedi scheda film
“Todo modo” narra le vicende di un gruppo di altri esponenti democristiani del potere politico ed economico che si riuniscono periodicamente nell’albergo/eremo “Zafer” per compiere esercizi spirituali ed è una libera trasposizione (o interpretazione) dell’omonimo romanzo breve di Sciascia: rispetto a Sciascia che pone il prete don Gaetano come personaggio centrale, per Petri il fulcro della vicenda, in dialettica con don Gaetano (coltissimo e carismatico), è M., il mellifluo personaggio interpretato da G.M. Volontè (esplicita allusione ad Aldo Moro); inoltre nel film, oltre al diverso rilievo di alcuni personaggi, sono resi espliciti gli intrallazzi, i ricatti e le accuse reciproche fra i partecipanti che nel romanzo sono solo asseriti (”Si sentivano in vacanza: ma una vacanza che permetteva di riannodare fruttuose relazioni, ordire trame di potere e di ricchezza, rovesciare alleanze e restituire tradimenti).
Il regista Petri ha voluto evidenziare lo scenario politico del tempo (ma non poi così diverso dall’attuale), caratterizzato da un immobilismo indifferente ai reali problemi del Paese, qui simboleggiati dall’imperversare di un’imprecisata epidemia (involontaria premonizione dei tempi attuali) cui M. dedica solo uno sguardo svagato e distratto, ma teso alla pura gestione e conservazione del potere.
La chiusura dei detentori del potere verso la realtà italiana è resa visivamente in modo eccellente immergendoli nei labirintici e claustrofobici ambienti sotterranei dell’albergo, disseminati di funeree statue che rimandano ai calchi delle vittime di Pompei, il cui luogo più importante è la cripta nelle catacombe che esprime un senso di oppressione e di disfacimento e morte, come profetico destino della classe politica dominante, chiusa su sé stessa e corrotta. L’impatto visivo di tali ambienti pubblici è potenziato dalla fotografia di Luigi Kuveiller, dai toni freddi e acidi, spesso impostati su “low key”, cui si alternano le riprese delle camere private calde e luminose: la luce e il colore non descrivono lo spazio ma lo interpretano metaforicamente.
Il film è una critica palese, espressa con i toni grotteschi e surreali tipici di Petri, non solo degli esponenti politici al potere ma anche degli apparati ecclesiastici che sono mostrati legati intimamente al potere terreno e per i quali la spiritualità e l’etica cristiana sono la copertura esterna di ambigui intrecci ed interessi materiali. Al riguardo, appare emblematico il rovesciamento della figura di don Gaetano (qui del tutto diverso dal testo di Sciascia) che alla fine è svelato come dedito a ricatti verso i notabili, verso i quali si impone come guida spirituale ma dei quali custodisce dossier per ciascuno di essi, e interessato ai piaceri terreni.
Pur con le evidenti differenze a cui ho fatto cenno, il film conferma e accentua l’assunto del romanzo: in realtà nessuno della classe dirigente si salva dall’ipocrisia e dall’ignavia: ne sono affetti anche la magistratura, la polizia, gli intellettuali; sono tutti in vario modo e forme inadeguati, ipocriti e meschini. Sorprende la profetica attualità della visione di Sciascia e Petri: quest’ultimo esprime, con la strage finale, non la palingenesi ma l’atto finale della decadenza di una classe dirigente che, purtroppo, non è un corpo estraneo alla società ma ne è espressione dei limiti e delle ipocrisie e, soprattutto, dell’incapacità di rinnovarsi profondamente. Ne è prova l’attuale classe politica che ha soppiantato quella democristiana cui fanno riferimento Sciascia e Petri che non mi sembra certamente migliore, se non peggiore, della precedente.
“Todo modo “ si avvale dell’interpretazione di eccellenti attori: il migliore, a mio avviso, è Marcello Mastroianni che interpreta in modo intenso e drammatico la figura di don Gaetano; Gian Maria Volontè è straordinario nel rendere la figura di Aldo Moro, ma mi sembra che a volte ecceda dando l’impressione di una caricatura più che di una persona reale; sorprendente Ciccio Ingrassia nel ruolo drammatico del viscido e ambiguo avvocato Voltrano; sempre brava Mariangela Melato come moglie di M.; dignitosi ma non memorabili Michel Piccoli e Renato Salvatori.
In conclusione, un grande film ai limiti del capolavoro assoluto, straordinariamente profetico.
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