Regia di Elio Petri vedi scheda film
Todo Modo è un film pasoliniano nel senso che il processo che Pasolini voleva e non potè intentare alla classe dirigente democristiana, oggi è Petri a farlo ed è un processo che suona come un’esecuzione (L.Sciascia)
TODO MODO, probabilmente, è stato il film più ostracizzato del cinema italiano. Dopo l’uscita del 1976 è rimasto invisibile per decenni. Alcuni anni fa la rete televisiva Mediaset Rete4 lo ha rispolverato dai suoi magazzini e trasmesso a notte fonda. Tempo dopo è confluito su YouTube. Un recupero doveroso ma pur sempre subdolo e clandestino, colmato con il restauro e la edizione in Dvd del 2014. Per anni sia la D.C. (per ovvi motivi di censura) e il PCI lo hanno ignorato. L’Unità di Veltroni non pensò mai di distribuirlo nelle edicole, idem la monografia dell’eretico comunista Elio Petri, tantomeno la sua opera più feroce, anticompromesso storico in tempi di celebrazioni permanenti di Berlinguer (non si discute la persona e il politico ma il progetto). Era “cosa buona e giusta” rimuovere un film scandalo che faceva a pezzi il Presidente Moro, nominato santino dopo l’uccisione del ’78.
Mentre nel paese divampa una misteriosa epidemia 4 ministri in carica, 9 sottosegretari, 13 onorevoli, 6 senatori, 4 presidenti di società a partecipazione statale, magistrati, direttori di giornale, presidenti di giunte regionali per un totale di 103 partecipanti e intere correnti politiche si ritirano nell’albergo eremo di Zafer, per praticare gli esercizi spirituali, tanto cari a Sant’Ignazio di Loyola. Padrone di casa, nonché direttore degli esercizi spirituali, è il potente e temutissimo don Gaetano, sarà lui con i suoi collaboratori a istruire gli esercitanti. Il primo a giungere è il Presidente M. con il suo autista factotum. Nella sua stanza si trova nascosta la moglie Giacinta, sua principale assistente e fonte di “desiderio”. Lo Zafer è situato in un grande parco ma gli interni sono collocati in un sotterraneo che, a sua volta, contiene una cappella e delle catacombe. Qui don Gaetano ed M. si scambiano informazioni di natura delatrice, convergono sul possibile arrivo di Lui, siamo a un doloroso bivio ma inevitabile. Dice di avere il cancro là dove la tentazione è stata più forte. Intanto arriva un cardinale assai prestigioso descendamus ut ascendamus. Il vice questore Arras è stato distaccato dal ministero per assisterli…fino alla fine! Nella sala tutti i partecipanti si riuniscono al desco, l’untuoso Voltrano invita tutti a digiunare, non tutti sono d’accordo.
Non abbiamo forse mangiato abbastanza ieri…l’altroieri…continueremo a mangiare sic ut erat, in principio, et nunc, et semper, et in saecula saeculorum?
Qualcuno fraintende, interviene il Presidente per riconciliare gli animi e le parti. Cominciano le dolorose riflessioni di don Gaetano sul peccato. Inferno e punizione sono alla base del Cristianesimo. Sulla confessione. Il maltolto va restituito! Voltrano, dalle orecchie lunghe, cerca di ingraziarsi M. Comandare è meglio di fottere. Cerca di sedere al tavolo delle spartizioni con Lui. Durante gli esercizi dapprima scompaiono le ostie consacrate, in seguito cominciano ad avvenire degli strani omicidi…
Dal romanzo cardine di Leonardo Sciascia, Elio Petri trae linfa per scrivere e girare un redde rationem della D.C. e di trent’anni di potere. Un ritratto impietoso, partendo dai notabili fino ad un semplice cuoco che implora una raccomandazione. Un sistema marcio con tanti tentacoli quante sono le società presiedute da politici, affaristi e propaggini varie. “L’Ente Nazionale di Previdenza degli Enti di Previdenza Parastatali” ne è la summa, l’esempio. Due anni dopo la biografia non autorizzata di Camilla Cederna su Giovanni Leone rivelerà una parte di quel magma infinito. La Chiesa ne è complice, parte attiva o azionista di maggioranza. Don Gaetano si definisce un prete cattivo, molto cattivo, il trionfo della Chiesa nei secoli è dovuto ai preti cattivi, la loro malvagità serve a confermare e ad esaltare la santità. Duro, severo, ecco il diavolo lo apostrofa uno del clan napoletano, inviperito, ostinato, pronto a dare ultime assoluzioni, per poi rivelarsi ambiguo “…avresti dovuto prendere i voti…vestirsi da prete è un po’ come sentirsi donna…mezzi uomini e mezze donne”, e infine corrotto, doppiogiochista con Linus negli scaffali, un prezioso Burri alla parete e l’archivio schedario di tutti i politici amici. Non sono miei amici, ma per quanto li disprezzi, li amo. Petri stesso aggiunge: “Egli è la Chiesa trionfante, nera, mimetica, fondinerista…”. M. è il follemente ambizioso Moro costretto in un abito di esacerbata modestia…linguaggio da uomo “colto” dietro cui nasconde la povertà del pensiero…uomo di destra e sinistra contemporaneamente, ciò lo pone in una specie di vuoto, posizione assolutamente emblematica per un dirigente democristiano. Il Moro di Volontè, come il film, è rappresentato attraverso una caricatura vista con la lente speciale del grottesco, di cui Petri era un esperto. Solo così lo si poteva concepire, lui e il potere DC. Incline alla conciliazione degli opposti, al compromesso. Come oggi, “invece che combattere l’avversario si tende a mettersi d’accordo con esso”, chiosa lo storico De Luna. M. dopo aver rivelato l’enigma gode nell’anagrammare sillabe da estrarre dalle società dei notabili, si dice desolato della situazione, ma tutti (i restanti) gli si rivoltano contro. Ci imbrogli con la tua falsa tristezza. La moglie Giacinta è colei che gli suggerisce di non usare troppi avverbi, di parlare difficile se non ha niente da dire. Desidera per lui il potere la gloria il settennato.
Tecnicamente TODO MODO è concepito come un’opera metafisica (alla Sciascia) dalle scenografie strabilianti per gusto ed essenzialità di Dante Ferretti, telecamere a circuito chiuso che aumentano la sinistrosità degli spazi e degli ambienti, la fotografia di Kuveiller torva e corvina come le decine di personaggi, le musiche stranianti minimali cupe e sottilmente ossessive di Ennio Morricone (ché faticò parecchio per realizzarle, restandone insoddisfatto, al contrario di Petri). Gli interpreti: di Volontè mimetico e da Oscar c’è poco da aggiungere, se non la sua sorprendente meticolosità mimica e verbale; Mastroianni è l’ambiguità fatta a persona, straordinario in un rarissimo ruolo nero; Mariangela Melato ottima sparring partner; Ciccio Ingrassia è semplicemente pazzesco nella difficile parte di Voltrano, fisicamente ricorda un topo di fogna dalle movenze e dall’eloquio mistico e volgare insieme; Renato Salvatori è il giovane procuratore Scalambri, arreso e manovrabile; Michel Piccoli è Lui, sorta di Andreotti truccato da corvo che sniffa; Franco Citti è l’autista del Presidente, perfetto nel suo essere gelido esecutore; Vincenzo Crivello dalla voce femminea è lo speaker televisivo in abito talare; tra gli altri volti rappresentanti personaggi tartufeschi, topi di sagrestia accentuati dalla regia espressionista di Petri, ricordiamo Luigi Uzzo, Marcello Di Falco, Tino Scotti, Adriano Amidei Migliano, Giancarlo Badessi, Cesare Gelli etc.
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