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Pitch Black

Regia di David Twohy vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Pitch Black

di SredniVashtar
8 stelle

Fantascienza esplorativa molto ben resa. Da vedere.

Pitch Black (nero come la pece) fa parte del filone della fs esplorativa, molto in voga negli anni ’40-’50 del secolo scorso, che fa leva sull’azione e l’adattamento a mondi nuovi e spesso ostili, come riedizione della conquista del West. Non è particolarmente interessata alla disquisizione teorica di leggi fisiche o marchingegni tecnologici, né all’introspezione dei personaggi.

 

E qui si inquadra il film, che rispetta appieno i canoni sopra descritti e canonicamente si sviluppa.

La prima parte è relativa al naufragio non indolore della nave-cargo spaziale, e ci fa intravvedere due cose: un pianeta decisamente ostile e la voce fuori campo (o quasi) del Narratore, nella persona di Mark Vincent Sinclair III, sanguemisto ed ex buttafuori più noto come Vin Diesel, qui Riddick. Sempre in questa parte vengono gettati i semi dell’ambiguità su chi sia Buono e chi Cattivo tra i superstiti.

Una volta atterrato alla bell’e meglio, il gruppetto di sopravvissuti comincia a confrontarsi (parte seconda) col pianeta alieno, illuminato da due soli (uno rosso-giallo, l’altro blu: impossibile, ma va bene lo stesso) e accompagnato da altri pianetoni/lune (ancora più impossibile, ma va sempre bene lo stesso). Sembra che i problemi siano la mancanza d’acqua e la scomparsa inquietante dell’ergastolano Riddick, assassino di mortale ferocia. Così lo spettatore si immagina di assistere a una sorta di Cape Fear spaziale, ma invece no: l’acqua si trova e Riddick ben presto firma un protocollo di intesa col gruppetto. Qui c’è una certa distonia sceneggiaturo-registica tra l’immagine terrificante del criminale (parte prima) e la sua volonterosa collaboratività (parte seconda): l’uomo ha una sua etica, che conosceremo meglio nella terza puntata della saga (Riddick). Nel frattempo, le ambiguità si accrescono: forse i buoni non sono tutti buoni, i cattivi non del tutto tali e i pericoli potrebbero venire da altre parti. È la classica fase di quest: ricostruzione della Storia del luogo, individuazione della Minaccia, ricerca della via di fuga.

 

Quando tutto si è chiarito per bene, compreso il che fare, capiamo che la situazione è peggio che melmosa e il pianeta più pericoloso di quanto già sembrasse all’inizio. A questo punto il finto cattivo diventa una risorsa indispensabile, un asso nella manica, e arriviamo alla terza parte che tradizionalmente si chiama Fuga verso la Salvezza, con tutti i pericoli del caso. È la parte più ovvia del film, ritualizzata come di dovere attraverso i Passaggi Obbligati: il Momento di Scelta (dell’ex-cattivo), la Vendetta sull’apparentemente Buono (in realtà cattivo), il Sacrificio, il Soccorso ai derelitti.

 

Sembra una schifezza, eh? E invece no: è un ottimo film, probabilmente il migliore di fs esplorativa del suo decennio. Il punto è che il tracciato e i suoi snodi – come nella tragedia greca – è semplicemente la struttura, sulla quale si deve costruire. L’errore commesso da molta cinematografia consiste nel credere che semplicemente rispettando la struttura si possa fare una pellicola decente. No: quella è solo una delle possibili basi di partenza.

Cosa rende Pitch Black un buon film? Innanzitutto il legame tra le sue parti, che non presenta salti logici o descrittivi: il plot è semplice, consequenziale, facile da seguire. Poi la disseminazione di indizi da un atto al successivo. In parte si è già detto: l’attenzione dello spettatore è stimolata da piccoli dubbi, apparenti incongruenze o “aspetti non chiari” che richiedono spiegazioni, che vengono in seguito svelate. La figura di Riddick e del suo persecutore ne sono l’esempio più evidente; c’è “qualcosa che non va”, finché il quadro non si chiarisce. Poi c’è la componente di mistero, vale a dire il differimento della comparsa della minaccia. Poi c’è l’altro aspetto da scoprire progressivamente: la peculiare struttura del sistema solare del pianeta. Infine, ma forse principalmente, la scelta degli interpreti, tutti perfettamente a loro agio nei rispettivi ruoli. Chiaro, Diesel/Riddick su tutti. In proposito è interessante notare come la scelta operata in Pitch Black di dar voce ai pensieri del protagonista, come filo conduttore interpretativo, sia non solo vincente ma così azzeccata da essere mantenuta anche nei due episodi successivi (in particolare nel terzo). Si ha insomma un prodotto confezionato con cura, sulle cui inevitabili aporie si sorvola volentieri in nome del ritmo e della curiosità. Non manca la tensione, che aggiunge una vena lievemente horror alla vicenda, né – per fortuna – l’umorismo.

 

David Twohy (regia)

Specializzato in fs e con puntate nell’horror, qui dimostra al meglio di conoscere il proprio mestiere.

 

Vin Diesel

Domina la scena dalla prima all’ultima inquadratura, dando vita al criminale etico e riflessivo più famoso dell’ultimo ventennio.

 

Radha Mitchell

Incantevole.

 

Cole Hauser

Perfetto nella parte del prestante "faccia d’angelo e cuore di tenebra".

 

Keith David

Nel ruolo di un improbabile imam galattico, è la voce ufficiale del gruppo di sopravvissuti. Più che adeguato.

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