Regia di Fariborz Kamkari vedi scheda film
Essere curdo è imparare a diventare partigiano, essere contro uno Stato che vuole cancellarti.
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani.
Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia.
E’ la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.
E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza.
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo.
Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti perchè mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti.
Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.
E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo.
E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci
Quando le riprese hanno già registrato tutto il visibile e ben poco resta ancora da guardare, le parole di Gramsci invadono lo schermo, e non c’è scampo.
A Cizre, Kurdistan, città di una delle quattro regioni in cui fu diviso il territorio curdo, nella Turchia sud orientale al confine con Siria e Iraq, per 79 giorni fra il 2015 e il 2016 accadde né più né meno quello che sta accadendo in Ucraina.
Qualcuno l’ha saputo?
Se no guardare questo documentario, ultimo lavoro del regista curdo-iraniano Fariborz Kamkari (al suo attivo opere come I fiori di Kirkuk e Pitza e datteri); un lavoro che il regista ha tratto dal lungo reportage di guerra della giornalista Befin Kar, oggi in Turchia in attesa di processo come tanti colleghi suoi.
Bene, il signor Erdogan che fino a qualche giorno fa sedeva al tavolo dei potenti a Madrid a deprecare l’aggressione all’Ucraina e decidere sanzioni, cos’ha da dire?
Non gli torna alla mente qualche ricordo di cose fatte da lui stesso, e non solo alla città di Cizre?
Ma forse la sua corta memoria è ben sostenuta dai colleghi europei, a partire dal nostro salvatore della patria, che mai sul Kurdistan si sono chiesti le cose che si chiedono quotidianamente sull’Ucraina.
Ma andiamo con ordine.
La voce esterna legge il testo, bellissimo, agghiacciante, che a tratti tocca vertici di autentica poesia, di Befin Kar, una giornalista capitata lì quasi per caso col suo operatore Baran. Dove non bastano le immagini soccorrono i disegni, è un documento unico per verità, nessun taglio, per un mese e mezzo in quella città piccola, sperduta nella regione più insignificante del territorio turco, i due assisteranno ad una carneficina spietata.
Erdogan doveva punire quel popolo per aver voluto elezioni democratiche nell’ultima tornata elettorale, cosa che aveva fatto perdere al suo governo il primato assoluto.
A Cizre, come peraltro dovunque in Kurdistan, la resistenza al regime dittatoriale di Erdogan era sempre stata forte, da un secolo e più il popolo curdo, massacrato, privato di identità, lingua, diritti elementari, aveva scelto la resistenza a oltranza e, dove era riuscito, aveva realizzato grandi conquiste democratiche di autogestione.
Ambiente, parità di genere, economia sostenibile, organismi di governo condivisi e cittadinanza attiva.
Questi erano i mali da correggere, e l’esercito viene schierato sulle colline intorno (ricordate Sarajevo?) e da lì fuoco a volontà.
Poi i tanks entrano in città e passano in rassegna strade e scantinati.
In quello del Palazzo del Governo fanno fuori tutti, poi danno fuoco, mezzo eccellente per cancellare tracce di uso di armi non convenzionali.
La nostra Befin Kar ce la fa a salvarsi e salvare le riprese, un pugno nello stomaco, ma non solo per l’atrocia delle morti.
Quello che lascia il segno è la forza di questo popolo, la sua dignità e la determinazione a vivere e lottare, l’unità nella lotta, nel dolore e nella gioia.
Non si piangono addosso, ricostruiscono la città distrutta, irriconoscibile, saccheggiata, nella miseria, nel dolore, nell’abbandono da parte della comunità internazionale.
Lo sguardo sulle macerie è necessario, la violenza va spesso oltre i suoi limiti e diventa miserabile, come quella dei soldati turchi che hanno esposto biancheria intima delle donne per disonorare il capofamiglia.
Nel lungo pellegrinaggio dei sopravvissuti alle case dei martiri non c’è pianto né disperazione, c’è un atteggiamento fiero, nessuno fa condoglianze
Erano nati come il popolo del sole, vivono nella terra dell’ombra.
“Il dolore è il passato di ogni curdo, la sua infanzia.
Il presente è la coscienza della resistenza. Conoscere il proprio destinoo, si sa, rende forti. A volte invincibili.
La straordinaria vitalità individuale dei curdi, unita alla capacità di essere comunità, questo è il segreto di un’identità forte e longeva che non ha bisogno di strutture costituite per alimentarsi.
E’ il segreto dell’essere contro il nulla, l’irresistibile volontà di esistere.
Negare un’identità è una violenza che esalta lo spirito dell’esistenza.
Essere curdo è imparare a diventare partigiano, essere contro uno Stato che vuole cancellarti.
Essere curdo è appartenere ad un popolo le cui origini risalgono all’antica religione del sole, destinato alla fatica e al sacrificio e a illuminare le terre di ombra dove si è trovato a vivere.”
Befin Kar
www.paoladigiuseppe.it
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