Regia di Hiroyasu Ishida vedi scheda film
Secondo film, seconda buca. Siamo sulla buona strada.
Hiroyasu Ishida si riconferma assieme a Kyohei Ishiguro il regista giapponese esordiente classe '80 più promettente sul mercato di massa. Drifting Home si identifica nelle idee espresse - forse meglio - nel precedente Penguin Highway, spostando il concept principale dalla eccentricità alla deriva dei turbamenti. I temi del lutto e della comunicabilità vengono espressi in maniera accentuata, soprattutto dato il temperamento fortemente emotivo, tuttavia in parte represso per cause ben gravi, dei personaggi sia principali, sia secondari. Dovrei riguardare il film solo per appuntarmi quante volte dicono "scusa" e affini. Come si sa, la cultura giapponese indaga a fondo il rimuginare, l'introspezione e, successivamente, l'azione di sfogarsi a pieni polmoni come forma di catarsi.
L'opera di Ishida riconferma, inoltre, la natura catastrofica 2.0 di molte poetice autoriali appartenenti a registi nati tra o dopo gli anni '70, ovvero setting e scenografie post-apocalittiche non legate più alla devastazione nucleare, bensì a quella dell'oceano. Cambiano dunque i fantasmi, non più devirati da Hiroshima e da Nagasaki, ma prodotti dalla devastazione di quel 11 marzo 2011 che ha cambiato radicalmente il Giappone ormai più di dieci anni fa.
Diventa interessante quindi l'argomento cardine di buona parte del racconto, ciò che esalta la narrazione e che porta avanti ben 120 minuti di materiale: la sopravvivenza. Il gruppo di giovani alla deriva opera in modo scoordinato, avventato, in preda al panico e - alle volte - alla rabbia. Sono ragazzini delle elementari, perciò non c'è da stupirsi, anzi, sono caratterizzati in una maniera molto più adulta di un normale bambino.
Il "Paese del Sol Levante", da circa il 2008 a oggi, ha subìto un declino piuttosto clamoroso in fatto di qualità media delle opere animate prodotte per il cinema. Le ragioni che hanno spinto i molti studi d'animazione presenti in Giappone a livellare i contenuti dei film, a offrire sempre più fan service e a screditare chi ancora crede che l'arte del cinema possa valere qualcosa, come afferma Mamoru Oshii, sono principalmente causa del business in continua espansione che soffoca in partenza quasi tutti gli autori meritevoli di tale reputazione. Oltre a questo, il passaggio generazionale che in maniera sempre più marcata si fa sentire tra i "vecchi" come Shigeyuki "Rintaro" Hayashi o Hayao Miyazaki e le nuove leve evidenzia una carenza importante di tematiche originali sulle quali poter costruire lungometraggi che non sappiano di già visto. [...]
[...] Alcuni dei registi più in voga di questi anni, ovvero Hiromasa Yonebayashi, Mamoru Hosoda e Makoto Shinkai, vengono descritti da magazine specializzati nel settore anime come "gli eredi di Miyazaki", un'espressione irritante, nonché inutile e pretenziosa, che vuole spacciare registi di buon livello tecnico o concettuale portavoce futuri di uno dei massimi maestri dell'animazione mondiale. Inoltre, risulta ancora più assurdo sentir parlare di eredi quando al massimo sono i professionisti più giovani a non avere una propria poetica originale e, dunque, a marciare sul successo di personalità come Miyazaki o Isao Takahata, scegliendo quindi di inserire nei propri film tematiche masticate da anni che riescono comunque ad attirare pubblico e a far imbonire la critica internazionale.
Proprio nelle filmografie di Hosoda e di Yonebayashi, allievi riconosciuti di Miyazaki poiché entrambi per anni dipendenti dello Studio Ghibli, si riscontrano continui rimandi, a volte ai limiti del plagio come nel caso di Mary e Il Fiore della Strega (2017), alle opere del maestro. Una valida eccezione potrebbe essere Wolf Children (2012), opera preziosa e genuinamente commovente che, tuttavia, non si discosta molto dal voler quasi forzatamente provocare il pianto allo spettatore e nella quale le ambientazioni e le atmosfere bucoliche risultano praticamente una replica spudorata di quelle de Il Mio Vicino Totoro (1988). [...]
- Estratto dell'articolo Keiichi Hara: un ponte fra folklore e Giappone attuale di daelaranimation.com
Dopo aver visto la seconda opera di Ishida, non ho dubbi sull'ammettere che potrebbe davvero trattarsi di un giovane autore - come la più navigata Naoko Yamada - pronto a ritagliarsi un posto tra i grandi registi d'animazione giapponese. L'artista è stato scoperto su internet da Mamoru Hosoda e deve dunque a lui la propria carriera cinematografica. Ciò implica che davvero, in questo caso, si può parlare di eredità condivisa e di reale passaggio di testimone all'interno del medium: da Kitayama a Yamamoto, da Yamamoto a Otsuka, da Otsuka a Miyazaki, da Miyazaki a Hosoda, da Hosoda a Ishida.
Questa quinta generazione del cinema d'animazione giapponese può risollevarsi quando e come vuole, basta che opere come Pengiun Highway, Words Bubble Up Like Soda Pop, Heike-Monogatari, Liz e L'Uccello Azzurro, Puparia e altre piccole perle riescano a crearsi un proprio spazio artistico-concettuale, nonché autoriale, in modo da scollegarsi - a livello tematico e/o espressivo - dal retaggio delle altre generazioni di registi e di animatori.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta