Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Il film può essere bellissimo od orribile a seconda dei gusti e, in un paio di scene, inoltre, potrebbe stomacarvi per la storia, diciamo, del bambino (non) nato. Ma da quella di Griselda Siciliani può uscire (di) tutto anche durante un focoso cunnilingus. Eh già.
Ebbene, oggi recensiamo Bardo, la cronaca falsa di alcune verità (Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades), disponibile su Netflix e presentato, con esiti controversi, alla scorsa edizione della 79.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ove concorse per il Leone d’oro. Non agguantando però nessun riconoscimento ufficiale e scontentando molti. Secondo noi, però, a torto, così come esplicheremo più avanti. Firmato dal due volte premio Oscar Alejandro González Iñárritu, vincitore degli Academy Awards come miglior regista per due anni consecutivi, rispettivamente per Birdman - L’imprevedibile virtù dell’ignoranza con Michael Keaton e Revenant con Leonardo DiCaprio, Bardo è il primo film, dai tempi di Amores Perros, girato da Iñárritu in terra natia, ovvero il Messico, ed è completamente parlato in spagnolo come Biutiful con Javier Bardem, tranne in un paio di sequenze in inglese. Generalmente mal accolto dall’intellighenzia critica presente al Lido veneziano alla suddetta kermesse, Bardo ha poi riscosso pareri altamente contradditori, spaccando anche gli spettatori, indecisi se apprezzare tale opus molto personale, oltre che diretto, infatti totalmente sceneggiato dall’inizio alla fine dallo stesso Alejandro González Iñárritu assieme a Nicolás Giacobone, dalla durata assai consistente di centosettanta minuti netti, cioè quasi 3h, oppure favorevoli e ben disposti nei riguardi di tale bizzarria indubbiamente prolissa e ricolma di eccentricità perfino esagerate e un po’ indigeste, certamente notevole sul versante figurativo, fortemente suggestiva, suadente e fantasiosa, visivamente magniloquente ma non appieno convincente, magistralmente filmata eppur narrativamente slabbrata, difettosa e oltre i limiti d’un narcisismo che ivi tocca vette davvero stucchevoli e parossistiche.
Molti, infatti, hanno fin dapprincipio, ovvero dalla primissima visione lor avvenuta di Bardo, tostamente affermato che trattasi d’un 8½ felliniano in salsa, concedeteci di dirlo, inarrituiana, cioè d’una pellicola poeticamente “selfie” e insopportabile del regista in questione, il quale, lasciandosi prendere la mano da mitomane, non avrebbe raffrenato i suoi stilemi tendenti al manierismo fine a sé stesso in modo esponenziale. Amplificando al massimo grado intollerabile i suoi ombelicali, solipsistici ed estetizzanti istrionismi narcisistici. Hanno ragione tali detrattori oppure è un grande film forse preso sotto gamba e aprioristicamente sottovalutato in maniera ciclopica?
Trama, assai sinteticamente così espressaci testualmente da Wikipedia a cui, sinceramente, v’è poco d’aggiungere:
Il film segue le bizzarre avventure di Silverio Gama, un documentarista messicano.
Silverio, onnipresente dalla prima all’ultima scena, nell’intrecciarsi e accavallarsi frenetico, tanto roboante quanto rutilante e contorto di onirici ricordi e riflessioni, è incarnato dal bravissimo Daniel Giménez Cacho, contornato da valenti attori giovani quali Ximena Lamadrid e Íker Sánchez Solano affiancati, a loro volta, dalla maliarda e statuaria bellezza e presenza preziosa della fotogenica, magnetica e sensualissima Griselda Siciliani che, nei panni di Lucia, cioè sua moglie nella pellicola, si esibisce in un paio di nudi clamorosi, e dall’ottimo Francisco Rubio in quelli dello spregiudicato, cinico e antagonista Luis, giornalista arrivista. Meravigliosamente fotografato dallo straordinario Darius Khondji (Seven, Midnight in Paris), con scenografie suggestive e fastose di Eugenio Caballero, Bardo, la cronaca falsa di alcune verità è un film che, dopo uno spiazzante e inaspettato incipit forse esagerato e perfino ridicolmente grottesco, dopo la sua prima mezz’ora molto confusionaria, tocca vette vertiginose di maestria e genialità per buona parte della sua durata, specialmente nel segmento centrale, con uno Iñárritu scatenato e inventivamente irrefrenabile che, fra spasmodici grandangoli smisurati, piani sequenza interminabili e complicati, talvolta eccede, indubbiamente, eppur al contempo ammalia e c’ipnotizza nel caotico flusso d’immagini a forte carica visionaria.
Comprendiamo però assai bene che Bardo non è un film per tutti e potrebbe addirittura, per via delle sue ambizioni spropositate, irritare molti e spazientire oltremodo.
di Stefano Falotico
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