Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
VOTO: 6,333 su 10. Non mancano le singole sequenze visionarie da grande cinema, tuttavia Iñárritu rischia di strafare con un’opera onirica e tortuosa troppo lunga e ingarbugliata, in cui alla verve immaginifica sfrenata non corrisponde una scrittura altrettanto perfetta e serrata.
79ma MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA 2022 – IN CONCORSO
Un’ombra proiettata sulla sabbia del deserto prende lo slancio spiccando il volo e, in soggettiva da chi la proietta, la vediamo più volte innalzarsi e riscendere a terra per riprendere una nuova rincorsa. Un’immagine intrigante che dà il via a un tour de force di quasi tre ore in cui di sequenze memorabili ne vedremo una bella collezione, da un treno della metropolitana allagato dalla rottura di una minuscola busta d’acqua per pesci d’acquario, a un neonato reinserito nella pancia della mamma in quanto insoddisfatto del mondo che ha trovato fuori, a una piramide di cadaveri indios nella piazza centrale di Città del Messico sulla cui cima bercia il conquistador Hernan Cortez, ad echi felliniani in scenografie colossali e decadenti di antiche statue abbattute, a un ballo sfrenato sulla voce isolata del David Bowie di Let’s Dance, osando sfidare il ridicolo con due uova al tegamino in corrispondenza dei capezzoli del sogno erotico adolescenziale del protagonista.
BARDO, Falsa cro?nica de unas cuantas verdades ci immerge nelviaggio esistenziale di un celebrato giornalista messicano, Silverio (Daniel Giménez Cacho), che pare sprofondare in una crisi proprio nel momento di massimo riconoscimento alla sua opera, la consegna di un prestigioso premio internazionale. Un viaggio tortuoso della coscienza e della memoria tra il suo presente e il suo passato, l’impegno professionale verso l’integrità e i rapporti familiari da coltivare, il dolore per il figlio Mateo morto a un solo giorno d’età e la contestazione adolescenziale del fratello sopravvissuto Lorenzo, i colleghi giornalisti amici solidali e rivali invidiosi, i ricordi frammentari e nostalgici dell’infanzia e adolescenza, il rapporto conflittuale tra le radici messicane profondamente sentite e la società dei gringos dove ha fatto fortuna e successo, con frequenti riferimenti al dramma dei migranti, alle passate guerre tra i due Paesi e persino ad un fantapolitico acquisto della Baja California da parte di Amazon.
Un film onirico dove la realtà e il ricordo sembrano costantemente fondersi in un ingannevole miraggio, che verso metà minutaggio sembra trovare una parziale giustificazione nel suo coincidere con il girato di una docufiction autobiografica sulla vita di Silverio da presentare in occasione alla consegna del premio prestigioso. Solo nel finale una componente onirica e surreale così dirompente troverà una spiegazione nel coma profondo in cui il protagonista è caduto in seguito ad un infarto che lo ha colto proprio alla vigilia della serata di gala in suo onore.
Stupendoci con una fotografia al solito perfetta nella sua nitidezza (curata da Darius Khondjii) e sbizzarrendosi coi fluidissimi long takes che avevano fatto la fortuna di Birdman, Alejandro G. Iñárritu realizza un’opera di taglio personale, ritornando dopo molti anni hollywoodiani a girare un film prevalentemente in spagnolo nel suo Paese natale. Se non mancano le singole sequenze da grande cinema, tuttavia lasciamo la sala un po’ frastornati, con l’impressione che, seppur le sue singole parti brillino, all’insieme di Bardo manchi qualcosa di realmente travolgente e chiedendoci se Per lunghi periodi Bardo sembra infatti girare intorno ritornando sui medesimi topoi e perdendosi in un labirinto di ricordi e situazioni ripetute. Ne segue un senso di spaesamento e di sfinimento, in buona parte ovviamente voluto dall’autore, ma la mia opinione è che maggiore incisività e compattezza avrebbero giovato a fare del film un serio concorrente al Leone d’Oro.
VOTO: 6,333 su 10
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