Regia di Stefano Cipani vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: EDUCAZIONE FISICA
Presentato all’ultima Festa di Roma e tratto dalla pièce teatrale “La Palestra” di Giorgio Scianna, Educazione Fisica era partito col chiaro intento di essere il film che avrebbe fatto fare un bel passo in avanti al tanto bistrattato Cinema italiano.
Sceneggiato da quei geniacci del male come Damiano e Fabio D’Innocenzo e diretto da un regista che con la sua opera prima, Mio Fratello rincorreva i Dinosauri aveva convinto proprio tutti mi aveva alimentato un’aspettativa alta che si è abbassata di colpo con il passare del tempo.
Educazione Fisica puntava a essere, sia per tematica che per sviluppo della storia, il Carnage italiano. Ma per trasformare in cinema il dramma teatrale Il Dio del Massacro ci è voluto un regista coi controcazzi come Roman Polanski mentre Stefano Cipani si è rivelato ancora acerbo per un salto del genere.
Ed è un vero peccato perché l’argomento è oltremodo interessante e fortemente attuale soprattutto alla luce dei fatti cronaca che hanno coinvolto il figlio di Beppe Grillo (che non si è fatto scrupoli a denigrare la vittima in un video social) oppure una nota tiktoker siciliana che ha urlato tutto il suo dissenso contro gli insegnanti del proprio figlio rei di caricarlo di troppi compiti.
4 genitori vengono convocati dalla preside della scuola media frequentata dai loro 3 figli per metterli al corrente di un fatto di estrema gravità.
I loro amati figliuoli hanno violentato a turno per ben due volte la loro compagna di classe, proprio in quella palestra che sta cadendo a pezzi scelta come luogo concordato dell’incontro.
Una palestra dove ha perso la verginità Franco Zucca, il padre di Christian. Arrogante palazzinaro che nonostante i soldi manda il proprio figlio in quella scuola fatiscente e de borgata perché è a 5 minuti da casa.
Con lui c’è Carmen, la madre di Giordano. Loro hanno una relazione clandestina che consumano nei posti più impensabili, tipo il parcheggio della scuola in attesa che i figli escano facendosi tra l’altro sgamare dalla preside.
E poi ci sono Aldo e Graziella Stanchi genitori adottivi di Arsen. Personaggi anonimi, lei casalinga mentre lui è la persona che derime le controversie tra i codici bianchi e gialli al Pronto Soccorso.
Tutti e quattro arrivano all’appuntamento con i figli tredicenni che si vedono solamente dall’alto o di sfuggita da una finestra rotta mentre giocano a pallone in cortile.
Le parole della Preside aprono le danze al gioco al massacro che sulle prime inizia con le classiche affermazioni: “Non può essere stato mio figlio”, “Ma sono dei bambini che nemmeno sanno che cos’è il sesso” “Gli abbiamo insegnato dei valori”, per poi degenerare in un tutti contro tutti disposti a tutto pur di salvare la vita dei propri figli e della loro reputazione.
Ma un incidente inaspettato farà precipitare le cose verso l’impensabile.
Purtroppo, l’improbabilità di certe dinamiche e la mancanza di una linea registica netta e chiara rendono quasi nulle le interpretazioni di un cast credibile e che a sua volta ci crede in quello che fa.
Educazione Fisica non riesce a staccarsi dalla sua origine teatrale facendo risultare quella “Palestra” una sorte di gabbia da cui gli attori non riescono proprio ad uscire.
L’assurdità di certe situazioni (Una Preside che avvisa prima le famiglie dei carnefici anziché Polizia e Famiglia della Vittima oppure una scuola abbandonata a sé stessa senza un guardiano in una sorta di far west metropolitano) richiedeva una svolta narrativa di un grottesco estremo alla Alex De La Iglesia.
Ed è un peccato perché c’erano dei punti di vista interessanti tipo la presenza di un bambino africano adottato non da ricchi sbruffoni ma da una famiglia modestissima tra gli stupratori oppure è una mamma che mette in evidenza che la vittima dello stupro in una festa di maggiorenni ha fatto uso di droghe e alcolici (il tipico “La Sbandata se l’è andata a cercare”).
E soprattutto è un peccato perché abbiamo un Angela Finocchiaro che passa da ingenua mamma a bestia con la bava con una bravura sconcertante oppure una Gabriella Rea perfetta maschera di madre e donna abbandonata dal marito e costretta a crescere il figlio con tanto rancore sopito pronto ad esplodere nella situazione giusta.
Mentre Claudio Santamaria gigioneggia col suo personaggio arrogante, è Sergio Rubini che fornisce il colpo di coda interpretativo finale con quell’ultima sigaretta fumata con grande intensità.
Cari gemellini D’Innocenzo questa volta siete mancati proprio nella cosa che voi sapete fare meglio, la scrittura.
Voto 5,5
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