Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
I fratelli Dardenne sono ancora i grandi registi di una volta, oppure il loro cinema ha preso una china discendente? La risposta al quesito non è semplice, tuttavia si può provare ad argomentare quanto segue: il loro cinema rimane fedelissimo ai canoni formali e contenutistici che lo hanno caratterizzato fin dall'esordio, e se l'impatto estetico che sortisce sullo spettatore è un pochino diluito, pur garantendo un livello comunque dignitoso e tutt'altro che ammuffito a film come "L'età giovane" e quest'ultimo "Tori e Lokita", il motivo è da ricercarsi probabilmente in una certa ripetizione e mancanza di novità che contraddistingue quest'ultima frase. "Tori e Lokita" torna sui temi dell'immigrazione clandestina, dello sfruttamento, della precarietà esistenziale e degli abusi sui più deboli, e lo fa in una chiave come al solito dimessa, sobria, senza calcare la mano sugli effetti, con il consueto stile di estrema fisicità nelle inquadrature, che non sottolinea mai le vicende con giudizi moralistici, anche se lo spettatore percepisce chiaramente da che parte si posiziona lo sguardo dei due registi. Il film ha una buona progressione drammaturgica e può contare su una descrizione dell'ambiente svolta con la consueta cura, anche se ad essere sinceri i personaggi finiscono per avere un rilievo meno memorabile rispetto a Rosetta o all'Olivier Gourmet di Il figlio o al Jeremie Renier de L'enfant. "Tori e Lokita" è una lezione di tolleranza e un'ennesima dimostrazione di fede in un cinema umanista, che alcuni accusano fin troppo superficialmente di buonismo e prevedibilità: sicuramente la formula stilistica non ha più l'urgenza espressiva e la potenza dei primi film, ma da questo a definire i due registi "finiti" direi che ce ne passa davvero tanto (e se continuano a prendere premi al festival di Cannes, vuol dire che le giurie trovano sempre qualcosa di meritevole nelle loro opere, anche in queste considerate "minori"). Nel cast buono l'apporto di attori non professionisti, per quanto non vi siano figure iconiche come quelle dei loro attori feticcio ricordati poc'anzi, ma Pablo Schils e Joely Mbundu nei ruoli del titolo se la cavano con la giusta espressività e senza strafare.
Voto 7/10
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