Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Uno spaccato di vita e di fratellanza sincero, e un convinto atto d’accusa sociale nel recente film dei fratelli Dardenne
Tori e Lokita (2022): Pablo Schils, Joely Mbundu
Jean-Pierre e Luc Dardenne, due volte premiati con la Palma d'oro a Cannes per il miglior film (“Rosetta” e “L'Enfant”), portano al cinema il loro dodicesimo lungometraggio di fiction, “Tori et Lokita”.
Dopo una carriera in cui hanno alternato parecchi documentari con film a soggetto, i fratelli Dardenne tornano a raffigurare nuovamente, e con coerenza stilistica e morale, il reale e la sua crudezza.
Questa volta l’ingiustizia denunciata è nell’atto d’accusa a una società che si muove esclusivamente per interessi economici, interessi che, spesso, vano a discapito di civiltà, morale e umanità.
La pellicola racconta di due immigrati e della loro fratellanza, una fratellanza non biologica, bensì dettata dal reciproco aiuto di chi vuole raggiungere un posto in cui vivere tranquillamente lontano dalle atrocità del proprio Paese natio. Accolti in un centro di accoglienza in Belgio, i due giovani immigrati - un bambino (Tori) e una ragazza adolescente (Lokita) - sono africani.
I due sono qui costretti a fingersi fratelli, sia perché entrambi hanno perso le loro famiglie, e sia perché sentono reciprocamente la necessità della forza dell’altro da usare come arma contro la terribile condizione dell’essere adolescenti esiliati, abbandonati, sfruttati e umiliati in una terra straniera.
La sinossi ufficiale: un bambino e una ragazza adolescente hanno affrontato da soli un difficile viaggio per lasciare l’Africa e arrivare in Belgio. Qui possono fare affidamento solo sulla loro profonda amicizia contro le difficoltà dell’esilio.
Come esplicitato dalla sinossi, l’opera in questione è la storia di un’intensa e salda amicizia, prima ancora che una denuncia della situazione ingiusta vissuta da questi giovani in esilio in Europa. E’ questo legame che i registi-sceneggiatori vogliono descrivere per suscitare empatia nel cuore dello spettatore. Un legame affettuoso di chi non può stare senza l’altro; di chi vorrebbe avere una famiglia pronta a proteggerli, sostenerli e consolarli; di chi non vuole rimanere solo ad affrontare paure, ansie e angosce del quotidiano.
Il modo in cui la sceneggiatura descrive la tenera relazione tra Tori e Lokita, è messa in scena con il consueto stile cinematografico a cui ci hanno abituato i fratelli Dardenne, quello del movimento e del pedinamento dei corpi dei due protagonisti nelle loro vicende. Ci si sofferma sui dettagli dei gesti, degli sguardi e dei silenzi di costoro; e si evidenzia questa loro amicizia, autentico rifugio di dignità umana da preservare in una società sempre più dominata da cinismo e indifferenza.
La cinepresa li segue nei loro continui spostamenti, nelle loro difficoltà e nelle trappole in cui cadono quasi inevitabilmente (la microcriminalità, lo spaccio della droga, utili a sopravvivere), e nel circolo vizioso di violenze in crescendo, continue minacce, ricatti e abusi, dal quale sembra impossibile uscire.
Lo spettatore si ritrova così al fianco dei due protagonisti, sempre più visti non come personaggi ma come persone (non è un caso se sono interpretati da due attori non professionisti, Mbundu Joely e Pablo Schils – davvero credibili e convincenti), e soprattutto come allegoria di tantissimi giovani immigrati in Europa, abbandonati dalle istituzioni e dati in pasto alla criminalità.
Le stesse istituzioni che li hanno in carico infatti sono schiave di regole e burocrazia, e, quasi alla pari della microcriminalità nella quale si incappa, non possono far altro che negare quell’unico necessario senso di umanità (e solidarietà) nella drammatica condizione dei due immigrati.
La denuncia sociale di “Tori e Lokita” si sposa con l’impegno civile dei Fratelli Dardenne che da trent’anni esplorano le vite degli ultimi, dei dimenticati del mondo occidentale mediante un cinema antiretorico e sobrio, asciutto, lineare ed essenziale, che non scade (quasi) mai nell’eccesso didascalico, nel patetico o nel melodramma ricattatorio; un cinema tra il documentario e il romanzesco, dove la realtà, nella sua complessità (pronta ad affiorare dalla fenomenologia del quotidiano vissuto dai protagonisti) e crudezza (spesso terrificante) è descritta con sensibilità e forte senso del pudore – una poetica che poi corrisponde anche all’etica di questi due registi.
Nella vicenda raccontata dal film, la violenza è solo suggerita, mai mostrata; e la portata cinematografica è morale, ma non moralistica, suscita indignazione ma invita soprattutto all’impegno civile individuale di ognuno di noi in società. Il loro è uno stile di regia che a partire dalla sceneggiatura alla messinscena mira al pieno coinvolgimento emozionale dello spettatore.
E anche questa interessante e godibile pellicola ci fa emozionare e riflettere: Tori e Lokita scopriranno che anche nel continente europeo, così tanto agognato, non si riesce a trovare serenità e libertà. Sogni, desideri e aspettative diventano incubi, delusioni, miraggi e illusioni. Il continente europeo che dovrebbe essere inclusivo, da una parte respinge i migranti, dall'altra li costringe a ricorrere all'illegalità per poter sopravvivere.
Tutto diventa una lotta, una lotta per la sopravvivenza, sempre, comunque e ovunque.
Persino l’arduo ottenimento burocratico dei documenti necessari assume i connotati di una tragedia: senza quel foglio di carta che attesti una reale parentela con Tori, Lokita rischia di ritornare a casa.
Attraverso l’innocenza tradita dei due giovani e il loro viaggio (anche interiore) si viene messi davanti a una realtà che non è mai quella che sembra, e nella quale non c’è spazio per le personali debolezze quando ci si scontra con le prove dettate dalle ingiustizie e crudeltà della vita.
Il film non spicca tanto per originalità [il tessuto sociale belga ed europeo che rimane freddo di fronte allo sfruttamento minorile degli immigrati, era già stata l’elemento narrativo e tematico di “La Promesse” (1996)], e latita sia di quella potenza d’impatto visivo e emozionale che facevano il fascino dei capolavori iniziali dei fratelli Dardenne (si pensi a “Rosetta” o a “Il figlio”), sia di quella forte efficacia dettata dalla solidità e compattezza narrativa/argomentativa delle ultime opere (si pensi a “Il ragazzo con la bicicletta” o a “Due giorni, una notte”); soffre poi, a livello di scrittura, di una certa programmaticità e forzatura, apriorismo e costruzione a tesi a scapito della contraddittorietà e ambiguità della realtà; e si avverte a tratti una debolezza generale; però, malgrado questi limiti e queste discontinuità, riesce comunque a commuovere, a coinvolgerci, a regalarci uno spaccato di vita e di fratellanza sincero e profondo.
Perché è un cinema umanistico e necessario che è capace di dialogare con il pubblico, fino al punto da esortarlo a non voltare le proprie spalle agli ultimi e agli esclusi della società, ma di puntare invece tutto sulla carta umanitaria della solidarietà civile (pari solo all’amicizia profonda vissuta dai due giovani nel film), come unica ancora di salvezza in un mondo crudele…
CURIOSITA’:
1. Il film ha vinto il Premio del 75º Anniversario al Festival del Cinema di Cannes 2022.
2. La colonna sonora include i seguenti brani: “Alla fiera dell’est” di Angelo Branduardi, “Si Je Chante” di Sylvie Vartan, “Rue Du Desert” di Adrienne D’anna & Alberto Di Lena, “Tirambik” di Marù, “Jam A L’escalier” di Snippet.
3. La pregevole locandina di questa pellicola è stata realizzata da Manuele Fior, tra i più apprezzati fumettisti e illustratori italiani.
VOTO: 6 / 6½
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Prendo atto di qualche incertezza che hai rilevato in questa loro ultima fatica....li posso capire perché i primi film (premiatissimi)erano davvero tanta roba...insomma un piacere per il vero cinema....e mantenere quello standard non è facile (vedi ROSETTA).....grazie Antonio...quando lo vedrò ti metterò il mio umile pensiero...intanto grazie
Hai ragione, concordo con tutto quello che hai detto. Comunque, al di là di presunti punti deboli, è un film coinvolgente che mi è piaciuto e umilmente te lo consiglio.
Grazie a te e buona giornata. :)
conisglio piu' che accettato....grazie
appena visto,molto bello,ho riletto con piacere il tuo commento...io ho solo messo un commento breve...ciao
Hai fatto bene Ezio
Gentile Antonio ho divorato la tua recensione e devo dire che unico film dei Dardenne che non mi è piaciuto e La ragazza senza nome
Capisco Claudio. Le ultime pellicole non sono state più all'altezza dei capolavori iniziali o dei loro film migliori, ma, come ha detto Ezio, non è facile mantenere alta la media.
Comunque, grazie mille per il passaggio e per aver condiviso un tuo commento, sempre gradito. A presto. :)
Atto dovuto Antonio
Ciao Antonio. Ho visto recentemente il film, da appassionato del cinema dei Dardenne, e mi trovo completamente con la tua analisi, volendo anche con il voto. I Dardenne hanno saputo utilizzare al meglio una certa estetica non lontana dalle regole del Dogma 95 per una serie di film che puntualmente tornano sugli stessi temi dello sfruttamento e della precarietà esistenziale della fascia più indigente nel Belgio contemporaneo. Se i primi film avevano un sapore di novità molto forte e una denuncia estremamente risonante in termini emotivi, tanto da farmi considerare capolavori Rosetta, Il figlio e L'enfant, negli ultimi l'urgenza espressiva si è un pochino attenuata, anche a causa di un'inevitabile ripetizione, ma Tori e Lokita resta un film dignitoso, minore rispetto a quelli citati ma pur sempre percorso da una regia rigorosa e una precisa moralità dello sguardo. La ragazza senza nome è uno dei pochi che non sono riuscito a vedere, mentre L'età giovane mi sembra ugualmente apprezzabile ma non interamente risolto. Concordo interamente sulla definizione di cinema umanistico e necessario. Un saluto
Ciao Stefano. Ti ringrazio molto per esserti soffermato in questa mia pagina.
Anch'io sono da sempre tra gli estimatori del cinema dei Dardenne e quel che tu hai scritto qui è vero, la loro estetica si è sempre ottimamente sposata ad una etica ben precisa.
Etica che hanno rispettato in modo costante e coerente nella loro brillante carriera. Le tematiche da loro predilette sono sempre quelle che vedono l'uomo in una difficile e critica relazione con la società nella cui è immerso, soffermandosi in particolar modo in quella contemporanea del loro Paese e su figure particolarmente deboli: adolescenti, immigrati, donne, poveri.
Da qui la loro attenzione a rappresentare in modo rigoroso, rispettoso ed essenziale le sfumature psicologiche più cupe, drammatiche, nonché una certa sensibilità rivolta alle descrizione delle crude e sofferte condizioni umane.
Questo aspetto nei loro primi film era molto intenso sia in senso di denuncia sociale (i loro documentari iniziali, ma anche come hai detto tu, i suoi capolavori: "Rosetta", "Il figlio", "L'Enfant"), sia in senso di partecipazione emotiva.
Mi trovi d'accordo con la tua recensione su questo film: purtroppo l'inevitabile ripetizione di questi temi nella loro filmografia (penso a "Il matrimoio di Lorna", a questo "Tori e Lokita") ha fatto diminuire di tanto inventiva, forza e urgenza espressiva.
Ciò malgrado i loro film, anche quelli considerati più "deboli" o "minori", restano comunque molto dignitosi e apprezzabili, anche rispetto a tanto cinema d'autore e a quello che parla dell'essere umano in generale...
E in tal senso il loro cinema rimarrà sempre necessario e fondamentale.
Grazie ancora per questo tuo bel commento, interessantissimo come molte altre tue recensioni. Ciao Stefano, alle prossime.
La ragazza senza nome invedibile
Commenta