Regia di Ousmane Sembene vedi scheda film
Diouana (Mbissine Thérèse Diop) è una giovane donna senegalese. Come tutte le sue coetanee, si reca ogni giorno a” place des bonnes”, una piazza di Dakar dove le donne del luogo offrono il proprio lavoro di domestiche per “le case dei bianchi”. Il suo turno arriva finalmente, ad assumerla è una ricca famiglia francese. Diouana si occupa esclusivamente di badare ai tre figli della coppia, e finché sono a Dakar le cose vanno bene. Tutti sono gentili con lei, facendola sentire una di loro. Poi la famiglia ritorna a vivere ad Antibes, in Costa Azzurra, e alla donna viene chiesto di seguirla. Diouana è contenta di fare questa esperienza, la considera un’ottima opportunità di crescita, la possibilità di vivere a stretto contatto con cose nuove. Ma le cose vanno molto diversamente da come sperava. Una volta arrivata a destinazione, Diouana diventa una cameriera tuttofare, senza neanche più il tempo per desiderare qualcosa. Le iniziali premure del marito (Robert Fontaine) si trasformano presto in normale indifferenza, le vecchie gentilezze della moglie (Anne-Marie Jelinek), invece, in atteggiamenti gratuitamente ostili. Diouana diventa triste e non gli basta vivere dei dolci ricordi del suo paese.
Come si sa, o come si suol dire, la Nouvelle Vague francese rappresentò un’ondata di aria nuova che per forza d’inerzia fece sentire i suoi effetti in ogni dove. Non che il cinema non fosse mai stato attraversato da continue forme di sperimentalismo visivo, anzi, e neanche che ci fosse un paese dove il cinema era materia ancora sconosciuta. Ma a partire dagli inizi degli anni sessanta, in piena guerra fredda e con gli ultimi rigurgiti degli imperi coloniali, la Nouvelle Vague è come se offrisse una sponda a chiunque volesse servirsene alla bisogna. Un’eresia consapevole che fornì un alibi attendibile per fare uscire ognuno allo scoperto.
In questo clima di generale innovazione emerge la figura di Ousmane Sembene, che porta il Senegal nell’agone multiculturale del cinema mondiale. Lo fa con “La noire de…,” un film che prende a prestito gli input creativi forniti dai maestri francesi per declinarli alle esigenze narrative del proprio paese. L’autore senegalese riesce a rappresentare in maniera realistica una situazione tipo, facendo emergere attraverso essa un pessimismo di fondo che investe un intero paese. Interessante è lo snodo anti narrativo che accompagna le sorti di Diouana, che passa da Dakar e la Costa Azzurra ininterrottamente, con continui flashback a contrappuntare il flusso dei ricordi della giovane donna. Così come è ammaliante il sottofondo musicale autoctono che suona lungo quasi tutto il film, come se si trattasse un inascoltato canto di ribellione. “La noire de…” è la storia di un’emancipazione solo desiderata, che Sembene racconta con grande padronanza del mezzo in un film che dura poco meno di un’ora. La storia è ambientata durante il governo "illuminato" di Léopold Sédar Senghor, quando il Senegal già da tempo aveva ottenuto l’indipendenza dalla Francia e iniziato a sperimentare un autonomo percorso democratico. Ma la mentalità padronale è più dura a morire, quella richiede uno sforzo culturale ulteriore, più difficile da raggiungere, soprattutto quando le leggi non scritte del mercato mettono a disposizione dei più ricchi un serbatoio di lavoro acquistabile a buon mercato. Per questo “La noire de…,” è un film anticoloniale, perché denuncia tutto il malessere che il potere di chi sta sopra produce su chi è sotto. Lo fa raccontando la storia di Diouana, una donna che si fa specchio di quella condizione di subalternità che scaturisce da pratiche padronali dure a morire. Già il titolo è tutto un programma, col suo rimarcare con forza l’idea di possesso riferita a qualcosa di indefinito, un qualcosa che può essere chiunque, indifferentemente, ma sempre preso dalla schiera dei più forti, tra chi può far valere sul piatto della bilancia un più consistente rapporto di forza. L'abilità di Ousmane Sembene sta nel rendere manifesto la presa di coscienza acquisita da Diouana senza dare concretezza alla natura del conflitto. Rimane qualcosa che cresce dentro poco alla volta, a contatto diretto con un mondo che sta imparando a conoscere vivendoci dentro. Quello dell’alta borghesia, che si limita al rispetto dell’etichetta (come l’avere la propria domestica “esotica”) dimenticandosi che esiste della sostanza umana oltre la forma, una storia millenaria dietro ninnoli d’arredo esposti in ogni dove. Come dimostra chiaramente la maschera tribale su cui spesso insiste la regia, simbolo della cultura di un popolo riciclata a mero oggetto oleografico. Diouana impara a sue spese che i “bianchi” possono mostrarsi buoni, gentili, magnanimi, solidali, ma all’occorrenza possono usare queste modalità dell’agire umano in maniera ricattatoria, sottoporre all’umoralità del momento quelle che alla fine si scoprono essere solo delle gentili concessioni. Prima di giungere al culmine della sua crisi esistenziale, la donna si rende testimone oculare della situazione socio politica coeva : non ci può essere simmetria di rapporto tra bianchi e neri finché ogni apertura di credito dei primi risulterà essere solo una fiducia accordata a tempo piuttosto che un punto di non ritorno lungo la strada del progresso umano ; non ci potrà mai essere pari opportunità tra bianchi e neri finché ai secondi non verrà concesso il diritto di sbagliare senza che ogni sbaglio venga preso a pretesto per rimettere in discussione ogni volta tutto. Diouana è accolta bene dalla famiglia francese, finché vivono a Dakar la signora è sempre gentile con lei, che dovendosi occupare solo dei piccoli figli ha tempo libero sufficiente per dedicarsi a sé stessa. Le cose cambiano quando raggiunge i suoi datori di lavoro ad Antibes, in Costa Azzurra, dove la donna regredisce a ruolo di domestica tuttofare, senza più tempo e spazio da dedicare alla cura della propria individualità. La possibilità di vivere in un appartamento di lusso, di visitare tanti posti bellissimi, di andare in giro per i negozi come qualsiasi altra ragazza, si trasformano nella loro esatta negazione. Sola e oberata di lavoro, Diouana subisce tutto il peso di uno spaesamento che non conserva più nulla di fascinoso. Vivere in prossimità di un qualcosa che si può solo desiderare rappresenta quanto di meglio ci possa stare per trasformare l’aspirazione a fare nell’impossibilità di avere. È quello che succede a Diouana, la cui voglia di vivere la vita cui tutti hanno diritto è offesa dalla necessità imposta di dovere essere sempre e solo una domestica. A queste condizioni, il panorama bellissimo di cui può godere ogni giorno si trasforma in una truffa che ogni giorno gli ricorda quanto ingiusta può essere la vita. Anche se vestito di tragico, il finale ci ricorda che la dignità umana non ha prezzo e non ha padroni. Una legge eterna che è quanto di utile è ancora capace di offrirci questo piccolo grande film a più di cinquant’anni di distanza. Gioiello da riscoprire.
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