Regia di Ousmane Sembene vedi scheda film
Il film, abbastanza breve (non arriva all'ora), è secco e toccante nel rappresentare il dramma di questa ragazza che quasi quarant'anni fa si trova spaesata in un mondo che non le appartiene e isolata dal resto del paese ("possibile che la Francia sia questo buco nero?"). Il primo lungometraggio di un regista dell'Africa nera - quel Sembene Ousmane di cui avevo finora visto soltanto "Campo Thiaroye" del 1989 - parla del dramma della solitudine e dello spaesamento di questa ragazza, Diouana (che in patria era libera, fiera e felice), e dell'aridità, dell'incomprensione dei suoi "padroni", l'intolleranza irosa della signora e l'apparente maggiore umanità del signore, che però pensa di poter risolvere tutto con un'offerta in denaro. Quel denaro che, in un moto di estrema dignità, la madre della ragazza, che abita in una miserevole baracca, rifiuterà.
Una giovane senegalese giunge ad Antibes, sulla Costa Azzurra, per fare la bonne in una famiglia bianca che l'aveva assunta a Dakar. La ragazza, analfabeta, si sente sola, incompresa, prigioniera, addetta ad un lavoro che non le piace (doveva stare con i figli della coppia e invece diventa la sguattera di casa). L'unico legame con l'Africa è rappresentato da una maschera tradizionale appesa a una parete. Il finale, per lei, sarà tragico.
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