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Nostalgia

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Nostalgia

di Lehava
6 stelle

Un passeggero risponde in arabo ad una hostess: l'aereo sta atterrando, fuori dal finestrino, lo skyline di una città. La stanza dell'hotel è impersonale: una fra mille, uguali in tutto il mondo, di quelle catene alberghiere che si trovano o vicino alle uscite delle autostrade o nei quartieri business. Quell'uomo è solo. Solo, lo troviamo a camminare per le vie, tra i palazzi. I suoni sono quelli del traffico. Lui è solo. Lui è in silenzio. Sembrerebbe un estraneo. Ma non è turista. Felice - nome ironico, invero - è un napoletano. A Napoli.

Martone è tornato.

Martone è tornato finalmente a Napoli. A quella Napoli contemporanea, che racconta sé stessa oggi ed ora: l'intreccio ci riporta anche ad un dolente passato recente, ma il tempo è una questione anagrafica: tutto resta uguale. Come dice il protagonista: lo stupore è che non sia cambiato proprio nulla. Via l'impegno civile fine a sé stesso qui c'è, bene o male, una storia. Ué! Evviva!

La nostalgia è l'ascolto di un ieri che si sfuma nel ricordo: non servono parole, perché il dialogo è tutto interiore. Il ricordo non ha consistenza: alla lunga è difficile capire se sia stato reale, o solo una deformazione delle emozioni.

Felice è muto, non sa parlare l'italiano. E' meditabondo: osserva.

L'ingresso in un androne buio ci introduce alla narrazione, all'azione: cerca la madre, che non vede da quarant'anni. La madre è ciò che lo lega alla città: ne rappresenta l'anima più pura. Disperata, trasandata, ma viva ed accogliente. Felice la cercherà di salvare. A dirla tutta, ha l'ambizione di salvare sia la madre che la città, armato dei propri ricordi che prepotentemente riaffiorano ed occupano sempre più la visuale sul presente. Ma i ricordi ingannano: a volte sono veri, altre no. Felice pagherà a caro prezzo questo equivoco.

Martone è tornato, dopo essere stato via tanto: rifugiato in un altrove spazio temporale riuscito ("Noi credevamo"), non riuscito ("Il giovane favoloso") un po' furbetto ("Qui rido io"). Che sappia fare cinema, dai! lo sapevamo. La prima parte di questo "Nostalgia" è sofferta, tenera, emozionante. Una fotografia, al limite del luminismo, dai toni ocra ci accompagna dentro la pancia di questa quasi metropoli maestosa, squallida. Protagonista assoluta. I flashback sugli anni Settanta sono ovviamente colorati e sgranati. Allo spettatore vengono buttati pezzi di puzzle, che poco a poco, incastriamo.Il problema è che, arrivati a comporre il puzzle in questione, la scena che ci si compone è decisamente retorica. Cavoli, che peccato. "Nostalgia" si squaglia: nella figura del prete di frontiera (non è importante che sia "vero". Il vero non sempre funziona sullo schermo), nell' inclusione obbligata, nell'antagonista a cui Ragno cerca disperatamente di dare una caratterizzazione che però pasticcia persino più di quanto già la sceneggiatura (mahhh) faccia, dando poco spazio proprio al cuore della vicenda che si consuma lenta lenta lenta, eppure troppo in fretta. Vedi alla voce "finale".

La colonna sonora senza infamia né lode, l'utilizzo di canzoni della musica leggera beh, d'altronde, dopo Sorrentino, come si fa ad apprezzare? Il divario è abissale e resta al palo della freddezza

Interpretazioni buone, a parte Ragno. Ma è colpa sua? Non lo sapremo mai, Innominato Kurtz dei poveri.

Resta l'amaro in bocca, resta la nostalgia personale - tutti ce ne portiamo dietro una favola - resta un film a metà

 

 

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