Regia di Mario Martone vedi scheda film
Una citazione da Pasolini in apertura recita: “La coscienza sta nella nostalgia. E chi non si è perso non ne possiede”. Napoli come Il Cairo, Napoli come Beirut. I luoghi in cui è vissuto Felice sembrano specchi che si riflettono e si confondono. Inizialmente, però, il ritorno nel quartiere natio della Sanità è simile a quello di uno straniero, ma ben presto il riadattarsi è mutuato dalla nostalgia. Rivivere con dolcezza gli ultimi giorni con l’anziana madre lo protegge dall’animo violento di un quartiere difficile e chiuso come una fortezza. Una volta deceduta Teresa, la sarta amata e stimata da tutti, verrà accolta dentro di lui. Come suggerito da don Luigi, giovane prete impavido che governa la parrocchia e i parrocchiani con spirito pragmatico. Egli diventa il primo interlocutore di Felice, un caro amico da far conoscere. Ma Felice ha un segreto di nome Oreste Spasiano, amico di giovanili bravate, oggi spietato boss del quartiere. La frase di Pasolini torna prepotente: Felice, una volta tornato a Napoli - nonostante si sia realizzato all’estero, abbia una bella moglie - vuole restare nella sua città e viverla con i suoi nuovi occhi di uomo maturo. Le viscere, le immondizie morali travolgono e prevalgono, le regole non esistono o meglio esiste una sola legge, quella del passato. Devi scomparire gli scandisce uno sfatto Oreste, anche se bofonchia di capire la sua scelta di restare. Don Luigi lo aveva avvisato: “Tu ti illudi, i cuori si richiudono col tempo”. Ad ogni ritorno segue una morte, Felice non è mai stato un raggio di luce che non viene sporcato dalla mondezza. Il suo segreto è un destino segnato e ineluttabile.
Mario Martone dirige, dall’ultimo romanzo postumo di Ermanno Rea (altro tassello personale su Napoli groviglio di misteri), una storia dolorosa dallo stile realistico e multietnico. Quasi fosse un regista medio orientale. La Napoli della Sanità non ha alcuna bellezza, è un mondo parallelo a quello da noi vissuto. “Come nella fisica quantistica c’è una realtà visibile e una parallela, molto più misteriosa”. Si lotta ancora contro la camorra, ma essa non ha alcun fascino né mitologia alla Gomorra. Spaccia, spia, brucia, reprime e uccide. Felice, don Luigi e Oreste sono tre visioni: la nostalgia che ti fotte e non ti fa capire la realtà; la reazione sostituendosi ad un capo della malavita (alla fin fine il giovane sacerdote non fa altro che imporre con la presenza, il carisma, le alternative sane e legali al marcio rappresentato da Oreste); quest’ultimo è la metastasi inesorabile. Pierfrancesco Favino che parla con accento arabeggiante è straordinario, sa essere sfaccettato come un novello Mastroianni. Francesco Di Leva è magnetico e coinvolgente. Tommaso Ragno, una sorpresa che si rafforza interpretazione dopo interpretazione. Aurora Quattrocchi, semplicemente perfetta. Nello Mascia e Salvatore Striano, due maschere dell’altra Napoli.
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