Regia di Mario Martone vedi scheda film
Mario Martone è un regista fra i più colti e intelligenti del nostro cinema, autore a partire dal 1992 di una decina di pellicole, anche se all'inizio lavorava con lunghi intervalli fra un film e l'altro mentre negli ultimi tempi è diventato molto più prolifico. La stagione cinematografica in corso si è aperta a Settembre con il suo pregevole ritratto della famiglia Scarpetta in "Qui rido io" e adesso si chiude con questo "Nostalgia", realizzato in tempi record e presentato al festival di Cannes, anche se purtroppo ancora una volta senza esito a livello di premi. Il film è tratto da un romanzo postumo di Ermanno Rea e segna un ennesimo ritorno nella sua Napoli, più precisamente nel Rione Sanità, visto attraverso gli occhi di Felice, un napoletano che rientra in città dopo un'assenza di quarant'anni, passati in Egitto, per occuparsi della madre ormai morente; il bisogno interiore di Felice di fare i conti con un passato scomodo e traumatico lo porterà a scelte radicali e rischiose. La prima parte del film ricorda molto a livello narrativo "L'amore molesto", che tanti anni fa fu ugualmente presentato in concorso a Cannes e segnò la scoperta di un universo poetico forte e originale, che dà nerbo alle migliori sequenze anche qui, quasi tutte concentrate nel rapporto ormai impacciato tra il redivivo Felice e la madre Teresa che non riesce più a comprenderlo. Il film si avvale di un'aura di mistero restituita in maniera affascinante anche a livello visivo, e fino a un certo punto il gioco dei flashback regge abbastanza bene, ma dopo la morte della madre il film prende strade alternative che a lungo andare determinano un calo di interesse nello spettatore, ed è un peccato. La presenza di un prete impegnato nella lotta alla camorra e nel rinnovo sociale è un efficace aggancio all'attualità che non può non far pensare a don Peppino Diana nelle pagine che gli ha dedicato Saviano, ma dopo un po' le numerose scene che lo vedono accanto a Felice assumono un che di didascalico e ripetitivo che non aiuta il risultato finale; anche i flashback perdono mordente e la scena clou al cospetto del boss camorrista Oreste, ormai invecchiato, risulta fin troppo dilatata e teatraleggiante, con un Favino sempre meravigliosamente sobrio e in parte e un Tommaso Ragno che, però, non riesce a conferire la statura tragica e dannata al suo personaggio, e il finale che non rivelo risulta assolutamente prevedibile. A conti fatti si direbbe un'opera minore di Martone, per quanto sempre dignitosa e provvista di svariati motivi di interesse, ma meno incisiva che in altre occasioni, piuttosto discontinua rispetto alla tenuta stilistica de "Il giovane favoloso" o "Teatro di guerra" o il citato "L'amore molesto". Favino dà ancora una volta il massimo in termini di espressività, ma non può rimediare da solo ai difetti di struttura ricordati in precedenza.
Voto 7/10
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