Regia di Robert Eggers vedi scheda film
Dopo i primi trenta minuti, pensai di essere di fronte a un grande film. Alla fine del film, mi congratulai con me stesso per essere arrivato ai titoli di coda dopo una rottura di palle incredibile.
https://www.youtube.com/watch?v=wuXVVClFxCM
Ebbene, qui libero da dettami, no, io non scrivo infatti sotto dettatura o qualsivoglia “dittatura”, neanche ricevo ordini troppo limitanti di un caporedattore, dicevo... sganciandomi ivi, diciamo in tale sede, da vincoli editoriali un po’, onestamente, castiganti la libertà, perfino giocosa, inventiva della prosa più creativa, dopo aver visto finalmente l’annunciatissimo e, ahimè, da molti acclamato, oso dire “schiamazzato” The Northman, così come nell’immediatamente precedente riga implicitamente accennatovi, a malincuore o forse con piacere mi accingo or a stroncare, in forma doverosa, questo film piatto, insulso, spropositatamente pomposo, no, ingiustamente atteso e pompato dagli aficionados ottusi di Robert Eggers.
Perché con piacere? In quanto, innanzitutto ritengo Eggers un bluff immane, colossale e poi, per cortesia, al di là dell’indubbia magniloquenza visiva, dunque malgrado le sue immagini figurativamente sontuose ed eccellenti, mozzafiato e ammantate da una fotografia morbida, a tratti malickiana, spesso però artefatta e sin troppo pedantemente ricercata, da Jarin Blaschke (il quale esordì con Eggers e, per quest’ultimo, ne ha curato giustappunto da cinematographer tutti i suoi primi tre film) firmata e cesellata, The Northman crolla, come si suol dire, sotto il peso delle sue ambizioni smisurate e soprattutto inappropriate. Personalmente, a costo, lo so, ne sono estremamente conscio, di venir linciato vivo, posso qui senza vergogna né pavore alcuno, privo di ogni reverenza, asserire in tutta onestà e completa libertà che The Witch mi parve subito un buon film ma lontano anni luce dal potersi guadagnare l’assurda, ingiustificata nomea di capolavoro per cui tutti si riempirono e ancor la bocca si riempiono in modo ridicolo. Tirando in ballo Dreyer e citando Bergman à gogo tanto per dimostrare che non venerano solamente i cinecomic. E comunque Thor è mille volte più figo di questo vichingo forzuto e palestrato, al contempo adoratore di Odino ma specialmente anodino che, pur essendo snodato nei suoi muscolari movimenti di bicipiti e bacino, è espressivamente più legnoso della stessa legna che spacca verso la metà del film per ragioni che non vi spiegheremo, evitandovi spoiler fastidiosi. Eh sì, care campagnole e boscaioli. The Lighthouse, invece, inizialmente mi piacque molto ma, rivisto col senno di poi, lo reputai manieristico e vuoto. E, per la serie non c’è due senza tre, cioè due mezze ciofeche scambiate inspiegabilmente per perle straordinarie, arriviamo al sodo, no, a tale film che, terminata la visione, si scioglie nella nostra memoria come una diarreica sciolta. Tiriamo lo sciacquone, fa cagare. Assai compatto, esteticamente parlando, ma più debole, emozionalmente e diegeticamente, della pastafrolla d’una casalinga-pessima cuoca annoiata, sposata a un marito poco eroticamente delizioso e caloroso a cui cascano le palle più di come The Northman, tanto per citare volgarmente un’espressione tipica del bolognese, straccia i maroni a noi spettatori che, dopo nemmeno mezz’ora dal suo incipit, questo sì, affascinante e ripieno di palpabile tensione cremosa, no, corposa, vorremmo già spegnere lo streaming e ficcarci... in bocca numerosi e squisiti bignè per farci passare perlomeno la voglia... di spararci in testa. Capricciosa?
Che moscezza, che tristezza. Che film odioso. Per fortuna, dopo 80 minuti, l’ammosciamento, per dirla alla Paul Vitti/De Niro di Terapia e pallottole, leggermente passa poiché vediamo (ca... zo, neppure integralmente, però) il nudo di Anya Taylor-Joy. La quale piace molto a tutti i maschietti sfigati e mai cresciuti che la trovano una Lolita bruttina eppur con uno sguardo malizioso da troia slava (per eccitare, no, per citare una battona, no, cattiva battuta a lei rivolta nel film) timida come il suo personaggio, Olga. Sì, la Joy, per questi qua, non è una topona come J. Lo o come una pornodiva senza silicone ma è paradossalmente più gnocca perché, con quegli occhi di ghiaccio che ammiccano dolcemente, sa tirar fuori gli attributi nascosti sotto un aspetto da simil-transessuale, no, l’uomo à la Anthony Franciosa de La cicala mixato al porco Clu Gulager de L’ultimo spettacolo. Eh già, non fate gli stronzi e non pensate di averlo lungo, no, di saperla lingua, no, lunga in fallo, no, in fatto di donne. Vi abbatto e me ne sbatto... poveri cazzoni e omuncoli dei miei coglioni.
E tu, sì, dico a te che fai tanto lo smargiasso, gradasso latin lover della minc... hia, non sei uno affatto uno sciupafemmine, sì, non sei un robusto tombeur de femmes inattaccabile e un saggio, romantico lupo di mare come Ben Johnson di The Last Picture Show. Sai l’impressione che mi dai, detta francamente? Sembri quella povera creatura protetta da Sam the Lion stesso. Eh eh. Inetto! Lecca un gelato dell’Algida, sì, un cornetto. Da me non riceverai una carezza né un mezzo confetto.
Comunque, la scena con la Joy, bella gioia semi-ignuda, ce la salviamo subito. Sono due, per l’esattezza. Potrebbero tornarci utili in tempi di finta magra, anoressica come lei se arriveremo a non valere una sega da morti di figa inculabili, no, incurabili. Soprattutto in cura per inevitabile sfighe dovute a deficit sessuali-cerebrali di origini freudiane. Eh sì, morto di figa è, invero anzi contiene in nuce la teoria dell’Eros vs Thanatos espressa dal decerebrato padre fondatore della cosiddetta scienza psichiatrica. Scienza, in verità, inesistente ed inventata ad hoc da tale pseudo-doc. con la pipa e che si faceva le pippe (non onanistiche) per fottere i pazienti. Soprattutto le clienti. Sì, in particolar modo, anzi, con bieco e viscido modus operandi di furbissima ars amandi losca e lercia, oso dire bugiarda, circuiva le pazienti frigide a cui non bastarono e bastano i fazzoletti ricolmi di lacrime... cosicché lui chiese la porcella rinnegata e volle pure aumentare la parcella. Facciamo i neri, no, i seri, ora, non cazzeggiamo. Suvvia. Orsù!
Più che un antesignano dell’Amleto partorito da Ethan Hawke/re Aurvandil & dalla sua consorte Nicole Kidman/Gudrún (due che, quindi, non abbisognarono di fare psicoterapia per salvare un matrimonio in cui non scopavano da un anno in seguito alla guerra capeggiata dal marito, assentatosi e non cornificato ma con le corna in testa da viking eppur, al suo ritorno, di lei non assatanato come quel cornuto e mazziato di Satana bastardo, presto comunque, sì, dal fratello ammazzato che fotterà sua moglie insoddisfatta) no, più che discendente e figlio alla lontana, con tanto di mito della mozzarella Vallelata, no, del Valhalla, no, più che diretto consanguineo del Bardo (non Kenneth Branagh, regista di Thor e di Hamlet, bensì ovviamente William Shakespeare), The Northman è una copia carbone, no, una rilettura sui generis, con molte variazioni strutturali e tematiche, di Conan il barbaro del grande John Milius con un grosso Arnold Schwarzenegger decisamente più cazzuto e credibile, convincente di questo Alexander Skarsgård che pare non essersi mai troppo allontanato dalla panca degli addominali da tartaruga più piatta della sua recitazione perennemente in stato catatonico e, ripeto, con un’espressività peggiore di The Legend of Tarzan. Roba che Christopher Lambert, mr. pesce lesso per antonomasia eppur king delle scimmie in Greystoke con tanto di strabismo di Venere, per le donne eccitanti parimenti a noi uomini arrapati dinanzi all’Andie MacDowell dei tempi d’oro e dirimpetto alle cosce d’una volta d’una sua ex storica, alias la nostrana, più che nostra, eh eh, per l’appunto dell’interprete di Highlander, assai da lui fatta, no, molto rifatta e (s)”fattona” Alba Parietti, c’appare veramente un principe dell’arte attoriale più re(g)ale e rinomata.
Se togliamo un piano sequenza magistrale, indubitabilmente d’impatto granitico come il torso duro del protagonista inscalfibile e dal cuore di ferro, brutale ed epico, barbarico e girato con classe cineastica di scuola veramente alta, il film ha ben poco da offrire. Niente da dire...
A un certo punto, Eggers, pur girando in Islanda, vuole perfino ammiccare alle origini del rugby, soprattutto dell’Australia, da non confondere con il film omonimo di Baz Luhrmann, bensì inteso come il continente natio della Kidman, fra lupeschi uomini che urlano e cani che latrano, fra latrine e mezze sgualdrine in calore, tra urlatori e stupratori dei più miserrimi.
L’attore Claes Bang, nei panni del malvagio e perfido (poi, mica tanto) Fjölnir, alla fine, mostra il suo scultoreo popò e, nella scena di combattimento ultima (questa, va ammesso, bella e non malvagia), nella quale i due contendenti si faranno il culo, esibisce anch’egli i suoi pettorali da uomo non Nosferatu come invece è il povero Willem Dafoe, qua sbattuto in un cammeo osceno. Orrido più del suo imminente rifacimento del classico di Murnau con Dafoe stesso e la bella gioia, no, Joy? Per fare un capolavoro, ci vuole ben altro.
di Stefano Falotico
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