Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Processi evolutivi: crescite & crepuscoli. Il mondo non guarda in faccia nessuno, va avanti per la sua strada con un’escalation vertiginosa – mai conosciuta in precedenza - ormai da almeno un secolo, grazie a una serie di invenzioni/innovazioni che hanno letteralmente rivoluzionato la vita comune e, a turno, praticamente ogni settore della moderna società civile. Chi non si adegua, chi non riesce a tenere il furioso passo del progresso, chi non detiene le qualità richieste, è destinato a essere sorpassato, a perdere la sua posizione e infine a essere triturato/abbandonato, finendo per essere relegato nel dimenticatoio.
Insomma, basta davvero un attimo per transitare dalle stelle alle stalle. C’è chi si schianta semplicemente perché considerato ormai inadeguato e poi c’è chi sfrutta la posizione acquisita senza cullarsi sugli allori.
Con Babylon, Damien Chazelle sceglie – a sorpresa - quest’ultima opzione. Come già fatto da altri illustri colleghi (tra gli altri, su grande schermo C’era una volta a... Hollywood e Ave, Cesare!, in televisione Hollywood), attiva la macchina del tempo e atterra in una contingenza cruciale, un autentico spartiacque, che intercetta/raffigura/decifra/profila senza porsi limiti perimetrici di nomenclatura cronachistica, evitando accuratamente di rifilare la solita minestra riscaldata, assumendosi dei rischi in prima persona.
Solo il tempo fornirà delle risposte definitive, anche se per il momento l’accoglienza ricevuta farebbe – purtroppo e ingiustamente per lo scrivente - pensare/temere a un drastico ridimensionamento delle opportunità che il regista di Providence avrà a disposizione a breve termine.
California, 1926. Durante una festa sfrenata e lussuriosa, Manuel Torres (Diego Calva – Narcos: Messico), un tuttofare che aspira a lavorare nel cinema, incontra Nellie LaRoy (Margot Robbie – Tonya, Birds of prey), una ragazza disinibita con le idee ben chiare in testa.
Mentre Manuel si fa lentamente strada sfruttando la stima di Jack Conrad (Brad Pitt – Seven, L’esercito delle 12 scimmie), un attore di successo, Nellie acchiappa un’occasione piovuta dal cielo e diventa in poco tempo una star del cinema.
Con l’avvento del sonoro, per entrambi niente sarà più che prima.
Già clamorosamente schiantatosi al botteghino nord americano (attenzione però ai dati internazionali, poiché i primi risultati sono quantomeno discreti) e quasi del tutto escluso/snobbato dalla stagione dei premi, Babylon rappresenta per il suo giovane e affermato autore una svolta, per certi versi inattesa e non preventivabile, divenendo il suo primo film – volutamente – divisivo su larga scala.
In sostanza, Damien Chazelle l’ha fatta grossa, distinguendosi dal livellamento – tendente al ribasso – generale, troppe volte compiacente. Si lancia deliberatamente sprovvisto di paracadute calandosi in un’epoca di forsennata transizione, pedinando/accompagnando/affiancando/incrociando i suoi protagonisti tra ascese esponenziali, brusche frenate e cadute rumorose, mescolando lo sfarzo alla decadenza, gli entusiasmi con la rassegnazione, l’ostinazione di chi non riesce a stare al passo coi tempi con l’omologazione imposta dai benpensanti.
Un dispositivo che rigetta le mezze misure (di comodo), un film di/per folli e sognatori, con due punte di diamante destinate a rimanere divise dal loro status, per quanto in costante revisione (La La Land), con eccessi di varia natura che prediligono i punti esclamativi alle virgole (Whiplash).
Più in generale, Babylon è caratterizzato da una sapiente descrizione dei momenti chiave, come un inizio trascinante e un finale di pirotecnico/smodato amore nei confronti dell’arte che documenta (entrambi indimenticabili, se in positivo o in negativo, spetta allo spettatore decretarlo), nonché da un’innata e virtuosistica forza d’urto, dalla capacità di attaccare bottone (con concatenazioni che non si vedevano da The wolf of Wall street) con invidiabile facilità e di generare abbondanti quantitativi di energia cinetica, sempre assicurando una continuità narrativa anche quando i salti sono eclatanti.
Un risultato conseguito in virtù di un’intesa ormai consolidata con i responsabili dei diversi reparti, con il direttore della fotografia Linus Sandgren (No time to die, Don’t look up), i costumi di Mary Zophres (Il grande Lebowski, Prova a prendermi), il montaggio di Tom Cross (The greatest showman, Hostiles) e le musiche di Justin Hurwitz (La La Land, First man). Soprattutto questi ultimi due comparti assumono un ruolo fondamentale, in quanto viaggiano in simbiosi, scandiscono direttamente il ritmo, lo fanno sentire/pulsare nelle vene.
Infine, anche il cast, ricco ed eterogeneo, fa la sua parte. Se Diego Calva è un underdog che agguanta la ribalta e commuove in un finale che non ha bisogno di parole per deragliare da qualunque consuetudine, Brad Pitt ci mette parecchio mestiere, in una parte che potrebbe recitare a memoria, e Margot Robbie è assolutamente travolgente, confermandosi come diva per eccellenza dei nostri tempi (in attesa di vedere cosa diavolo combinerà nell’ormai prossimo Barbie), mentre l’utilizzo dell’ex Spider-man Tobey Maguire sottolinea, una volta di più, la volontà di non voler vivere di rendita.
In definitiva, Babylon è una mirabolante, tarantolata e trasformista ode al potere del cinema, che premia e condanna, incensa e illude, glorifica (sic transit gloria mundi) e inganna, blandisce e imprigiona. Una pellicola generosa e dispendiosa, talvolta anche dispersiva e spesso felicemente in overbooking, che si fa largo sgomitando, che non si nasconde dietro un dito, colma di passioni e di fianchi scoperti, di reazioni a catena che solo un autore enorme, quale conferma di essere Damien Chazelle, può comporre con tale vigore mantenendo una consistente armonia.
Tra illusioni dorate e un sistema che stronca i cuori impavidi, aurore boreali e schianti senza appello, proiezioni e proporzioni, grandi occasioni/treni che passano una volta sola e battute d’arresto, splendori e oblii, pistole fumanti e date di scadenza, ispirazioni concrete e tangenti vorticose, scene di massa dove ogni dettaglio si muove in sincronia e duetti intensi, apogei e fallimenti.
Impetuoso e impietoso, torrenziale e compulsivo.
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