Regia di Paul Michael Glaser vedi scheda film
Non è una novità che delle star del mondo dello sport vengano sfruttate per avere facili guadagni in operazioni commerciali impensabili (e impresentabili). Shaquille O'Neal era al massimo della sua popolarità nel periodo in cui giocava negli Orlando Magic e l’approccio al cinema in un fantasy costruito a tavolino poteva anche essere prevedibile. Purtroppo questo “libero adattamento” della favola di "Aladdin" è proprio orripilante su tutti i fronti. Per quanto O'Neal appaia almeno simpatico (nonostante nella recitazione convinca come Mike Tyson truccato da donna), il piccolo protagonista “Max” (Francis Capra) diventa insopportabile dai primi istanti; un fanciullo “ribelle” che vive un rapporto difficile con la madre (il babbo ha abbandonato la famiglia quando aveva due anni... e vabbè). Soggetto alle angherie di alcuni bulli di scuola (dipinti quali criminali di strada, e non credibili nemmeno per un millesimo di secondo), attiva accidentalmente uno stereo (!) che riporta in vita la summenzionata entità soprannaturale. Max in principio pensa che il genio sia un impostore, finché non lo osserva effettivamente “in azione” (non aveva già notato il modo anomalo con cui aveva steso i suoi aguzzini? Mah…), chiedendo in desiderio una pioggia di happy meal (!!). Intanto incontra casualmente il padre (il quale si rivelerà ancora più odioso di lui), proprietario di un club ove Kazaam scoprirà il suo talento rap (in realtà mette solo in rima delle frasi a casaccio). Fronteggieranno un crudele gangster mediorientale, e la banda di mini delinquenti intenti a rubare il tape con le registrazioni di questo imponente vocalist (cosa dovrebbero farne poi?). Si susseguono parentesi hip hop terribili, effetti in cgi inutili e un mucchio di frammenti bercianti dove O'Neal grida “I’m Kazaam!!!” o rutta davanti ai presenti, mentre il dodicenne Max lo tratta con una condotta aberrante (a volte lo colpisce pure… sul serio, chiunque fosse stato nelle vesti clownesche di Shaquille avrebbe mollato il set in tronco). Distogliere lo sguardo da cotanta robaccia a causa dello sconcerto costante è lapalissiano. Gli arrangiamenti sonori di Christopher Tyng sono comunque dignitosi, seppur praticamente sprecati.
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