Regia di David W. Griffith vedi scheda film
La tecnica cinematografica di Griffith s'impadronisce definitivamente dello spazio, usandolo come cassa di risonanza dell'azione dinamica e del sottotesto drammatico. Il senso della profondità è sfruttato con un effetto teatrale (si direbbe quasi, tridimensionale) di sfondo e proscenio: alle scene d'insieme, che riempiono l'orizzonte, si sovrappongono - entrando da fuori campo, o staccandosi dal gruppo - singoli soggetti, costringendo lo spettatore, di volta in volta, ad "aggiustare il fuoco". Così la sua attenzione si sposta, dalla carovana intravista in lontananza, ai coyote e all'orso che improvvisamente vengono ad occupare il primo piano; e un braccio teso, armato di pistola, ruba d'un tratto la scena alla figura della madre col bambino in grembo. La forza di questa pellicola risiede proprio nel contrasto: il film sembra interamente dominato da una logica dei "due luoghi". Ad essa si ispira anche il continuo cambio di scenario, che realizza una tensione tra il "qui" e l'"altrove" (nella prima parte, tra dentro e fuori la casa, nella seconda parte, tra le tende del villaggio ed i vagoni della carovana). Il "massacro" finale si propone allora come l'eclatante risultato dell'incontro tra i due opposti: il cerchio si chiude fragorosamente, l'unione è fatale, e il conflitto si compone solo con la distruzione delle parti in guerra. Il monumentale gruppo dei combattenti si spiana, progressivamente, fino a diventare un tappeto di cadaveri; il predicatore e il giocatore d'azzardo, inizialmente divisi dalle rispettive posizioni etiche, si ritrovano infine uniti, fisicamente e spiritualmente, nella battaglia e nella morte.
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