Regia di Robert Altman vedi scheda film
William F.Cody, in arte Buffalo Bill (Paul Newman), porta in giro uno spettacolo dai connotati decisamente “nazionalisti”. Wild West Story si chiama lo spettacolo, e vi vengono rappresentate in chiave del tutto arbitraria le pagine più “gloriose” della nascente nazione americana. Oltre all’eroico Buffalo Bill, le attrattive dello spettacolo sono Annie Oakley (Geraldine Chaplin), una donna dalla mira infallibile, i cowboy cacciatori di bisonti e coraggiosi pionieri della caccia ai pellerossa e gli indiani presentati come feroci assassini buoni solo per essere sterminati o, al massimo, rinchiusi per bene nelle riserve. William F.Cody ha un grande senso dello spettacolo e pensa bene di ingaggiare Toro Seduto (Frank Kaquitts) per rendere ancora più avvincente il suo circo ambulante. Ma Toro Seduto accetta solo perché in sogno ha visto che il “gran capo dei bianchi”, il presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland (Pat McCormick), assisterà un giorno allo spettacolo insieme alla giovane moglie (Shelley Duvall) e intanto che lo aspetta, per cercare di spiegare a un "suo pari" le ragioni della sua gente, con un silenzio fiero ed assordante mette in crisi la supponenza megalomane di William F.Cody, detto Buffalo Bill.
“Buffalo Bill e gli indiani” è una lezione di storia non ufficiale raccontata con un tono che oscilla tra la favolosa ricognizione dello spettacolo circense messo in piedi da William F.Cody e la concreta denuncia delle ingiustizie perpetrate contro i nativi americani. Per questo, credo, sia difficile catalogarlo in un genere, per il modo con cui Robert Altman l’ha posto oltre ogni confine spazio temporale. Innanzituto, il Wild West Story può essere inscenato in qualsiasi periodo e in qualunque luogo, ogni qualvolta emerge la necessità di legittimare il potere egemonico del governo degli USA attraverso l’epica riproposizione delle gesta eroiche dei suoi miti fondativi e ovunque sia possibile giustificarlo con dosi massicce di retorica patriottarda. Poi, la costruzione d’insieme lo fa assomigliare molto ad un fumetto, a cominciare dalla caratterizzazione dei personaggi, che fa leva sugli stereotipi più classici del genere, con i cowboy a fare la parte dei buoni civilizzatori e gli indiani quella dei cattivi da convertire. Infine, è assai utilizzata la componente fantastica, sia con riferimento ai leggendari racconti che accompagnano le gesta “eroiche” di Buffalo Bill, che riguardo alla dimensione sognante che permea nel profondo l’intera struttura del film. Ai sogni credono fedelmente gli indiani, che sono capaci di aspettare fino alla morte perchè si realizzino, partire “per il luogo dove il sogno potrebbe diventare realtà e aspettare”. Almeno avvolto da una sensazione strana che ha tutto il sapore di una resa dei conti di fronte alla storia, è l’incontro tra Ned Butline (Burt Lancaster) e William F.Cody, tra lo scrittore che ha tutta l’aria di chi si è pentito di aver costruito il personaggio leggendario di Buffalo Bill, trasformandolo da semplice cacciatore di bisonti e spregiudicato nemico dei pellerossa a icona imprescindibile per una nazione bisognosa di eroi, e la personificazione guascona e affatto eroica di un buffone da circo (“E’ proprio nato per dare spettacolo. Uno qualunque non avrebbe avuto l’astuzia di farsi addossare atti di eroismo che non avrebbe mai potuto compiere. Nessun uomo comune avrebbe intuito quali immensi guadagni si potevano fare raccontando un sacco di balle davanti ad una platea di testimoni paganti. Si, Bill Cody può contare solo sul suo intuito, e quando il suo intuito verrà meno allora forse vedrà come stanno veramente le cose”, dice uno sconsolato ned Butline). Infine, onirico è l’incontro tra un insonne Buffalo Bill e lo spettro di Toro Seduto, con il primo che, in un impeto di rabbia repressa, tenta di giustificare l’utilità “civilizzatrice” del suo ruolo nella storia, e il secondo che riflette nella solennità del suo fiero silenzio tutto il rispetto che la cultura del suo popolo esige ricevere dalla storia. Insomma, una palese sensazione di irrealtà fa spesso capolino lungo lo scorrere del film e credo che intenzione di Robert Altman sia stata quella di far entrare in corto circuito la rappresentazione menzognera di una storia resa ufficiale dai vincitori, con la coscienza sporca di chi l’ha prodotta attraverso la seducente spettacolarizzazione dell’ inganno ; le tendenze megalomani di chi crede che la “verità viene sempre dopo la storia” e mai mette in dubbio il suo operato, con la pazienza di chi ha imparato sulla propria pelle che “la storia è irriverenza per i morti” e sa aspettare che “la realtà segua il corso del sogno”. Il mito di Buffalo Bill è usato, non solo per ribadire la natura intimamente illusoria del sogno a stellestrisce, ma anche per attualizzarne la portata simbolica mostrando come la nazione americana, sin dalla sua nascita, ha sempre investito molto sulle dinamiche proprie della società dello spettacolo, quelle che servono a costruire eroi su ordinazione e a produrre una massa di spettatori pronti a credere fedelmente alle loro gesta. Robert Altman ribalta così le verità ufficiali, conferendo più concretezza ai soprusi subiti dai vinti tenuti ignominiosamente nascosti, che all’opportunistica vanagloria dei vincitori bellamente ostentata. “Credo che ciò che Toro Seduto insegue esibendosi in questo circo sia molto più reale del circo stesso, che non è altro che sogno”, dice infine Ned Butline.
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