Regia di Federico Fellini vedi scheda film
il Casanova di Fellini è un’accuratissima costruzione cinematografica, e come tale va giudicata. Il libertinismo del personaggio storico è però travolto da una nozione esasperata di dongiovannismo che in realtà non gli appartiene, nulla è più lontano dal veneziano dello spirito del Burlador de Sevilla.
"Passata la mezzanotte quando, dopo un breve commiato dai suoi nuovi conoscenti, attraversò da solo la grande piazza vuota su cui si apriva un cielo caliginoso e senza stelle, ma egualmente scintillante.Con una specie di sicurezza da sonnambulo, senza essere davvero cosciente che lo faceva per la prima volta dopo un quarto di secolo, trovò la strada per strette calli, tra muri scuri e passerelle, fino alla sua misera locanda, la cui porta gli si aprì davanti, pigra e inospitale, solo dopo che ebbe ripetutamente bussato; e pochi minuti dopo, in preda a una dolorosa stanchezza che gli appesantiva le membra senza rilassarle e con un retrogusto amaro sulle labbra che sentiva salire dal più intimo del suo essere, si gettò, spogliato soltanto a metà, su un cattivo letto, per dormire dopo venticinque anni di esilio il primo, tanto desiderato sonno in patria, che finalmente, alle prime luci del mattino, ebbe pietà del vecchio avventuriero e sopraggiunse senza sogni e profondo." (daA.Schnitzler, Il ritorno di Casanova finale)
Se Fellini avesse letto Schnitzler… ma di certo l’ha fatto, eppure…
Il Casanova di Fellini è un film di smisurata eleganza formale e verbale, accurato nella ricostruzione architettonica (tranne nella scena di Rialto, un ponte in cartapesta molto poco credibile) e nelle scenografie di opulenza cortigiana o di miseria postribolare, di bellezza incantevole nei costumi, maschili più di quelli femminili, e nulla fu più meritato dell’Oscar al costumista Danilo Donati.
Tutto nel film, dai costi esorbitanti che raccontano le cronache, è all’insegna dell’eccesso e, di conseguenza, del presagio di un crollo imminente.
La morte incombe, sull’uomo e sulle cose, quanto più splendida è la figura dell’eroe giovane, tanto più incontrollabile il suo precipitare verso la vecchiaia, quella severa tappa prima della morte in cui pare si debba esser puniti delle glorie giovanili, “turpi a sé stessi e agli altri” cantava il lirico greco.
E chi meglio di Giacomo Casanova poteva fornire materia per tanta disfatta?
La scelta di Sutherland è perfetta, conosciuto sul set di Novecento di Bertolucci, dove è un odioso fascista assassino, Fellini fa il miracolo, non si è più visto un Sutherland così dolce, insinuante, quasi angelico nelle espressioni del volto.
Ma chi è il Casanova di Fellini? Il ritratto di un uomo sapiente benchè non saggio, dell’età dei lumi? Un uomo libero e brillante in un’epoca di illuminate speranze ma anche di antiche schiavitù? Un servo delle sue pulsioni sessuali incontrollabili?
Un po’ di tutto, ma soprattutto è un uomo vinto. Tutto il suo percorso è un presagio di morte, lo avvolge un’atmosfera cupa, si avverte il profumo fradicio delle corone funebri, le sue danze di seduzione sono volteggi nel vuoto, non c’è amore, verità, abbandono. Ci sono amplessi e un attimo dopo la scena cambia, passano anni e personaggi, la sua libido non diminuisce anzi, scopre strade di perversione che lo inducono a rapporti a dir poco fuori del comune.
E allora scopriamo il pensiero di Fellini:
“Mi sono messo in testa di raccontare la storia di un uomo che non è mai nato, una funebre marionetta senza idee personali, sentimenti, punti di vista; un “ italiano” imprigionato nel ventre della madre, sepolto là dentro a fantasticare di una vita che non ha mai veramente vissuto, in un mondo privo di emozioni, abitato solo da forme che si considerano in volumi, prospettive scandite con raggelante, ipnotica iterazione. Vuote forme che si compongono e si scompongono, un fascino da acquario, uno smemoramento da profondità marina, dove tutto è completamente appiattito, sconosciuto, perché non c’è penetrazione, dimestichezza umana … Ho scelto per interpretarlo Donald Sutherland, un attore dalla faccia cancellata, vaga, acquatica, che fa venire in mente Venezia. Con quegli occhi celestini da neonato, Sutherland esprime bene l'idea di un Casanova incapace di riconoscere il valore delle cose e che esiste soltanto nelle immagini di sé riflesse nelle varie circostanze"
F.Fellini, Fare un film, p. 176
“Un uomo che non è mai nato”: nulla di più vero.
Infatti il Casanova di Fellini è un’accuratissima costruzione cinematografica, e come tale va giudicata. Il libertinismo del personaggio storico è però travolto da una nozione esasperata di dongiovannismo che in realtà non gli appartiene, nulla è più lontano dal veneziano dello spirito del Burlador de Sevilla
Per Casanova le donne non sono un arido catalogo, lui le amava, amava soprattutto l’amore, e poi tutto cambiava, la vita non gli bastava mai, altri giorni e altri amori, e in questo Fellini è magistrale negli stacchi di scena.
Donne-oggetto? No, donne amate, ma solo in quanto oggetto di bellezza e d’incantamento (fino alle ultime, ma è un’altra storia).
Ma queste donne che in infinite forme si sono incarnate nella sua vita, diventano nel finale un’autentica bambola meccanica ed è l’addio più sconsolato alla vita di un personaggio diventato un vecchio burattino senza fili. Non averle amate come vere donne, questo è il problema, ed esser passato alla storia soprattutto solo come un libertino è il suo contrappasso.
Ma chi fu davvero Giacomo Casanova?
Difficile dirlo e soprattutto in breve. Restiamo dunque nel campo dell’arte.
Il vero Casanova, ammesso che esista qualcuno di cui si possa dire il vero, è per molti versi il Casanova di Arthur Schnitzler, per cui il desiderio più lancinante non furono le donne, fu tornare a Venezia. E’ un sogno che si avvera in Schnitzler, sfuma nell’indefinito in Fellini.
Si avvera benchè a prezzo di amari compromessi, gli chiedono di diventare un delatore e lui accetta, dolorosamente, ma è l’unica possibilità per tornare dal più grande amore della sua vita:Venezia.
“Rinunciare al ritorno in patria gli sembrò il più impossibile di tutti i sacrifici che il destino potesse pretendere da lui. Che ragione c’era di restare ancora in questo mondo misero e sbiadito senza la speranza, la certezza di rivedere l’amata città? Dopo anni, decenni di peregrinazioni e avventure, dopo tutta la felicità e l’infelicità che aveva provato, dopo tutto l’onore e la vergogna, i trionfi e le umiliazioni che aveva sperimentato, doveva pure infine trovare un luogo di riposo, una patria. Ed esisteva per lui un’altra patria diversa da Venezia? E un’altra felicità che non fosse la coscienza di avere di nuovo una patria? All’estero non riusciva più da un pezzo a piegare durevolmente la fortuna al suo volere. Talvolta gli era ancora concessa la forza di afferrarla, ma non più quella di trattenerla. Il suo potere, sulle donne come sugli uomini, era svanito. Solo dove viveva nel ricordo la sua parola, la voce, lo sguardo potevano ancora ammaliare: al suo presente era negata l’efficacia. Aveva fatto il suo tempo!”. (daIl ritorno di Casanova, 1918)
Ed è in questa prospettiva diversa che, tra l’altro, Casanova incontra l’unica donna non oggetto della sua vita.
“ In Marcolina aveva trovato un'avversaria che gli lasciava ben poco spazio sia in termini di dottrina che di acutezza di ingegno e che inoltre, se non nell'eloquenza, lo superava di gran lunga nell'arte vera e propria della parola, soprattutto per chiarezza d'espressione … Una simile libertà di pensiero, Casanova l'aveva incontrata di rado in una donna, e mai in una fanciulla che sicuramente non aveva ancora vent'anni. E non senza nostalgia ricordò che anche il suo spirito, in giorni passati, più belli di quelli presenti, aveva percorso con un'audacia cosciente e un po' compiaciuta la stessa strada sulla quale vedeva ora Marcolina, senza che però questa sembrasse rendersi conto della propria audacia. E tutto assorto nella peculiarità del modo di pensare e di esprimersi di lei, dimenticò quasi che stava camminando accanto a una creatura giovane, bella e molto desiderabile, cosa ancora più straordinaria in quanto si trovava tutto solo con lei nel viale ormai completamente in ombra, e piuttosto lontano da casa.”
Il film è del 1976, tanti anni sono passati e altri ancora ne passeranno, dopo secoli le spoglie mortali di Casanova sono ancora in Boemia e chissà se ancora visibili, ma la sua amata città si ricorda di lui, il Museo del ‘700 Veneziano a Ca’ Rezzonico gli ha dedicato venti anni fa una straordinaria mostra e un Museo è stato creato apposta per lui di recente.
E quando si passa per i Piombi non c’è guida che manchi di citarlo.
Poco? Forse, ma … non è il mondan romor altro che un fiato di vento…
www.paoladigiuseppe.it
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