Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Nel 1974 Federico Fellini dopo LA STRADA, LE NOTTI DI CABIRIA e 8 e ½ vince per la quarta volta l’Oscar come miglior film straniero con AMARCORD. Ma il grande cineasta romagnolo archivia subito l’ennesimo grande successo mondiale per dedicarsi a un nuovo progetto, un film su Giacomo Casanova basato sulle Memoirès filtrate però dalla sua visionarietà. Dino De Laurentiis, sbarcato in America con SERPICO ha vinto la scommessa di sfondare a Hollywood e dopo KING KONG è in procinto di girare I TRE GIORNI DEL CONDOR e sembra interessato a sobbarcarsi il maestoso progetto da girare nel mitico studio 5 di Cinecittà, ma passa l’onere alla Cineriz di Andrea Rizzoli prima e nel gennaio ’75 ad Alberto Grimaldi, già produttore di TOBY DAMMIT e di Leone, Pasolini e Bernardo Bertolucci. Fellini, intanto durante questo passamano di consegne da una produzione all’altra (sintomo del terrore che questi avevano dei suoi progetti) è impegnato nei provini per trovare Casanova, la scelta non è facile scarta il suo alter-ego sullo schermo Mastroianni, poi Ugo Tognazzi, poi Vittorio Gassman, alla fine consegna il ruolo all’attore canadese Donald Sutherland, impegnato nelle riprese di NOVECENTO di Bertolucci, lo doppierà benissimo Gigi Proietti. Le riprese iniziano il mese di luglio del ’75, nel dicembre di quell’anno Grimaldi blocca la lavorazione perché sono sforati i tempi stabiliti e il budget è salito a cinque miliardi. Dopo varie trattative nel marzo del ’76 si riprende per altri due mesi e finalmente le riprese hanno termine, fino al 1993 anno della sua morte Fellini a ogni nuovo film, a ogni minima idea di film instaurerà un duro braccio di ferro con i produttori più disparati. Il suo modo di lavorare è tipico di un genio affabulatore e ricco di fantasia, ricostruisce ogni cosa in studio dando lavoro a numerose maestranze e comparse e spesso le migliori idee li vengono in corso d’opera, dilata all’inverosimile la lavorazione sul set ed ecco spiegata l’ostilità dei finanziatori delle sue opere. Il suo personale Casanova parte dalle MEMORIE SCRITTE DA LUI MEDESIMO, ma per Fellini è solo uno spunto perché con lo sceneggiatore Bernardino Zapponi delinea la figura del famoso amatore veneziano come un uomo dissoluto, malinconico, bramoso di diventare un letterato, uno scienziato, un filosofo di grande fama, ma rimane imprigionato nelle scomode vesti di esibizionista, di fenomeno da baraccone. F.F. non è tenero con lui, nella trama del film lo vediamo divertirsi durante un magniloquente carnevale veneziano, seduce una suora accompagnato dal carillon di un uccello meccanico che simboleggia la meccanicità dell’atto sessuale, finisce in prigione perché accusato di praticare magia nera, a Parigi si cimenta in altre avventure sessuali, si innamora di Henriette respinto medita il suicidio, ma a Roma ritrova vigore fisico e morale in una squallida scommessa orgiastica, poi copula con una donna gobba e fallisce l’approccio con una gigantessa, incontra la vecchia madre poi una giovane donna che ha le sembianze di una bambola meccanica dai tratti pallidi e lunari, chiude la sua esistenza da bibliotecario umiliato e deriso dalla servitù di una taverna, prima di morire sogna di danzare con la bambola meccanica “in una Venezia di brina e di ghiaccio”. Casanova è un essere inanimato, gran copulatore ambizioso ma vuoto e triste che si innamora di un pupazzo che rappresenta la morte e se stesso riflesso allo specchio. Il regista riminese mette su una stupenda macchina visiva, uno spettacolo per gli occhi, ricostruisce il ‘700 con scenografie architetture e costumi a dir poco sontuosi, il famoso mare fatto di buste di spazzatura è la conferma della filosofia felliniana per cui “non è necessario che le cose che si mostrano siano autentiche, ciò che deve essere autentica è l’emozione che si prova nel vedere e nell’esprimere”. Tutto questo c’è ne IL CASANOVA…, la realtà vista con gli occhi del sogno, come gran parte del suo cinema, anche da un punto di vista tematico è coerente con la tesi secondo la quale i personaggi delle sue opere intraprendono dei viaggi in cui prendono atto “dello spreco, del vuoto riempito da finte e surrogatorie impressioni di gioia, piacere e comunicazione con gli altri”. Sutherland è bravissimo nel rendere tutte le sfumature del suo Casanova, ha una faccia adeguatamente perversa e singolare con il personaggio forgiato e ideato da Fellini (forse non molto distante da quello reale). Da lodare tutto il reparto tecnico, bellissime le musiche di Nino Rota. Nel ’76 non ebbe grandi riscontri di critica e pubblico, se non in Giappone e nella persona di Francois Truffaut, e ancora oggi divide ma per me è alla pari degli altri suoi capolavori.
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