La verità, specialmente quella scomoda o che non ci si aspetta, fa spesso orrore e si lascia dietro di sé una scia di insicurezza che si somma alle paure e ai fantasmi di shock insuperati relativi a circostanze o accadimenti che è quasi impossibile lasciarsi alle spalle.
Il giorno della festa di ringraziamento, i due coniugi sessantenni Blake, con la anziana madre di lei e la figlia lesbica della coppia, decidono di recarsi a festeggiare la ricorrenza presso la nuova casa in Manhattan che l'altra figlia ha deciso di andare ad abitare assieme al suo nuovo compagno di origine coreana Richard.
L'appartamento è ancora pressoché disadorno e da ammobiliare, ma il calore degli invitati, almeno sulla carta, dovrebbe stemperare quel clima un po' austero che trapela da pareti completamente vuote, solcate da tubature a vista che emettono anche suoni gutturali sinistri, se non proprio inquietanti.
Man mano che la festa di famiglia procede, tra inconvenienti piccoli ma che non lasciano indifferenti e locali sovrapposti che richiedono frequenti spostamenti anche complicati, cona la nonna inferma da spostare tramite ascensore, lo stato d'animo dei membri della famiglia si apre ed ognuno finisce per mettere a nudo le nevrosi che lo tormentano, svelando anche particolari inquietanti o quantomeno inaspettati circa i progetti, il lavoro, le prospettive di una famiglia che appare come tante, ma che nasconde invece segreti fino a poco prima impossibili da rivelare.
Dall'omonima e pluripremiata pièce teatrale dello stesso Stephen Karam, il regista traspone un horror psicologico che si nutre di fantasmi e demoni di un passato che non può essere messo da parte.
Poco distante al quartiere ove sorge il palazzo un po' sinistro e sovrastato da ombre (e forse pure spettri) in cui la coppia ha trovato dimora, sorgeva il World Trade Center oggetto di attacco kamikaze nello sciagurato 11 settembre 2001.
Il capofamiglia guarda dalla finestra e scorge come del nevischio, ma gli viene il sospetto che si tratti di polvere, quella stessa che pioveva dal celo dopo lo schianto duplice e tremendo che trasformò i superstiti in statue di cera grigia.
Ma l'uomo non ha solo quel fantasma da combattere: alcuni altri segreti riguardano la sfera sentimentale e professionale di un uomo che solo ora trova il coraggio di aprirsi e svelare il suo vero volto alle figlie.
Né è l'unico a rivelare parte di ciò che lo tormenta.
Da quella cupa Festa del Ringraziamento nessuno in quella famiglia tornerà, agli occhi degli altri, ad essere più come prima, o l'immagine approssimativa e distratta che gli altri si sono fatti di lui.
L'orrore non è solo sangue che si materializza e ferite che si scoprono tra le carni: è anche qualcosa che cova dentro e che si manifesta nel momento in cui la predisposizione dei commensali desidererebbe concedersi una piccola tregua da troppa ansia trattenuta a stento.
The humans è un film che riesce ad inquietare come un horror, pur rifuggendo ogni tentazione tipica dei film di genere.
La riuscita del film è anche merito di un cast sorprendente di uomini e donne qualunque che si rivelano epicentri di inquietudini decisamente oltre ogni sospetto.
Richard Jenkins, meraviglioso anche stavolta, è Erik, un capofamiglia che vive coi fantasmi della tragedia e cerca di sfuggir loro con avventure che lo mettono nei pasticci.
Nel cast limitato ma di prima grandezza riconosciamo lo Steven Yeun di Minari e Nope, neo panni di una fidanzato remissivo e possibilista.
Ma pure June Squibb è fantastica nei panni della anziana nonna che pare inebetita, ma in realtà sa più cose di ogni altro.
E poi Beanie Feldstein e Amy Schumer, figlie rispettivamente dal passato tormentato e dal presente votato alla solitudine e alla rassegnazione.
Ma è Jayne Houndyshell, la madre e moglie Deirdre, a fornire la prova più preziosa tra le magistrali interpretazioni di tutto il cast.
Una donna umiliata sul lavoro da giovani colleghi rampanti, che si scopre moglie e figlia alla deriva, in balia di eventi che mai avrebbe intuito potessero riguardarla.
In The humans i muri si stringono quasi a soffocare le anime, come suggeriscono anche le straordinarie iniziali riprese in verticale dal basso verso l'alto in cui il ritaglio geometrico di cielo pare un modo di libertà visto da un abisso infernale da cui è quasi impossibile riuscire a districarsi.
E l'appartamento, di polanskiana memoria (la mediocrità dell'immobile di pregio, ma ampiamente trascurato, ricorda molto la location de L'inquilino del terzo piano , diviene una sorta di limbo sinistro in cui finalmente si svelano i segreti più oscuri di un nucleo familiare solo apparentemente qualunque, e la sapiente regia che segue spesso da dietro le anime errabonde tra corridoi sempre troppo stretti e pareti sbrecciate da bolle di umidità o devastate da tubature che paiono costole fuoriuscite da un corpo ferito, riesce a rendere palese l'inquietudine che trova in quel posto il luogo più opportuno per manifestarsi e palesarsi.
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