Regia di Joel Coen vedi scheda film
Grazie a uno stile 'tridimensionale', i fratelli Coen abbattono il muro del tempo e ci portano fra i picari degli anni '30.
Guardando al secolo scorso, non c'è periodo più oggetto di trasfigurazione leggendaria della grande depressione. Nemmeno gli anni sessanta, che non hanno conosciuto la straordinaria stagione letteraria, corale-generazionale, di Steinbeck, Fante, Lee, Faulkner e quanti altri. Rivediamo tutto immediatamente nitido, come in un sogno che non ci ha abbandonato mai veramente: ferrovie, fotografia in seppia, freight trains e hobos. Gli sterminati skyline, i campi, i fuggiaschi, i banditi, i vendicatori. Non solo i grandi scrittori, ma anche country e soprattutto blues sono impregnati della mitologia post '29. Dopotutto il periodo in questione è anche un'età aurea, quella della comunicazione di massa via radio, delle prime registrazioni e stazioni nel bel mezzo del nulla. I fratelli Coen comprendono che il modo giusto per raccontare la storia in questa ambientazione è un'Odissea al contrario, che si presta perfettamente, essendo il racconto picaresco suo lontano discendente. A livello visivo Joel ed Ethan tornano ai campi lunghi del cinema western, ma sporcandoli, immettendo rumore, polvere e scherzi (la scena iniziale della fuga; l'arrivo di Nelson, il passaggio della congregazione). In questo modo il set di Furore o La morte scorre sul fiume non è più inamovibile, bensì buffo e interattivo: lo spazio, che prima evocava tristezza o nostalgia, adesso si fa dispensatore di beffe. Così il tempo andato diventa vivido, presente, simpatico. Adatto allo stile e alla farsesca ispirazione epocale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta