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Il senso di Hitler

Regia di Petra Epperlein, Michael Tucker vedi scheda film

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La recensione su Il senso di Hitler

di yume
8 stelle

“ Hitler non è disumano, è umano”.

locandina

Il senso di Hitler (2021): locandina

Tutto inizia con la passeggera che inganna la noia del viaggio in treno leggendo uno di quei librini che si comprano in stazione al volo.

Tra i titoli in mezzo ai quali fa bella mostra Orwell (sì, perché in stazione si trovano anche belle cose) spunta The Meaning of Hitler e lei s’immerge nella lettura.

 Quel nome, piaccia o no, fa presa, è quasi un secolo ormai, ma nulla che ne scalfisca lo smalto, c’è da chiedersi perché, e i due autori se lo chiedono e lo chiedono a storici e gente varia.

Parte così una lunga indagine che si sposta tra presente e passato, inserisce qualche scena fiction, pesca nelle teche, nei sancta sanctorum, gira un po’ qua e un po’ là per strada, ai raduni nazi, nella foresta agghiacciante di Sobibor, sulla faccia idiota di un giovane che nega, nega, nega, per lui “è andato tutto bene”.

E poi c’è Irving, il negazionista per antonomasia, quello a cui neanche i capelli bianchi hanno portato un po’ di sale alle meningi.

No, lui fa la guida turistica sui luoghi per dimostrare la sua verità, che cioè Hitler era una brava persona e i cattivi siamo noi, o meglio, tutti quelli che non sono tornati dai forni.

 

Bene, va dato atto ai due registi di non aver detto le solite cose nel solito modo, sul Grande Dittatore c’è di tutto, dai capolavori alla spazzatura, dunque non era facile.

Le strade sono state percorse tutte, le interpretazioni di quel pezzo di storia anche, si è scavato all’indietro, ci si è proiettati in avanti, psicoterapia e scienze sociali in blocco sono state ampiamente scomodate, è mancato forse un po’ di fisiognomica, ma per il resto nulla ci è stato risparmiato.

 

Tranne quel che dice in modo molto amabile un bel vecchietto di 94 anni, non ricordo il nome ma è ebreo ed è uno storico famoso, che con un bel sorriso divertito e ironico chiude il film dicendo: “ Non diciamo più che Hitler era disumano, era umano, e questo spiega tutto”.

 

Dice tante altre belle cose per cui val la pena di vedere il documentario, anche più volte, se non lo togliessero dalle poche sale in cui è distribuito così presto (due giorni) che ci si sente quasi dei pionieri ad averlo visto.

Allora ci si chiede perché ciò accada, perché di un fenomeno simile di cui si mettono in luce preoccupanti implicazioni odierne, oggi che i social hanno amplificato, ramificato, ragazzotte/i tatuate/i con svastica imperversano in siti che volano liberi come l’aria, oggi che la casalinga di Voghera ha scoperto che food network è il suo canale preferito e basta con bandiere rosse e ‘l’utero è mio e lo gestisco io”, ci si chiede perché non si giri per strada con megafono a dire: “ Correte al cinema, anche se solo con green pass, siamo in Italia, purtroppo, ma correte, masse, tornate ad essere individui, guardate che fa bene, guardate che è successo e può risuccedere

Il nazismo non faceva bene alle donne, non aveva nessun appeal rivolto a loro, tutt’altro, dice la voce esterna nel film, eppure… le donne impazzivano per Hitler, Eva Braun ha fatto vita da reclusa per lui nel Berghof, il nido dell’aquila, si è ammazzata con lui.

Beh, è successo anche con i Beatles, quattro manichini uguali, dai capelli alle stringhe delle scarpe, Epstein era un genio della comunicazione, e masse di ragazzine urlanti svenivano, piangevano, si vedevano maschi urlare? No, femmine..

Come alle sfilate dei manichini nazi, disposti in blocchi, verticali e orizzontali, perfetti, illuminati da fasci di luce dall’altro genio della comunicazione visiva, Leni, una donna, sì, tanto per cambiare.

 

Oggi quel mito sopravvive più forte che mai, il senso di Hitler è questo, e rileggiamo Gustave Le Bon (1842-1931) psicologo francese, considerato il fondatore della nozione di massa; egli aveva indicato nelle folle rivoluzionarie il più serio pericolo per la civiltà, per la perdita dell’individualità e la forte esposizione al prevalere di atteggiamenti primitivi e irresponsabili. Nel 1895 aveva scritto Psychologie des foules sull’onda dell’esperienza della Comune parigina.

Se poi vogliamo avvicinarci di più a noi andiamo su Massa e potere diElias Canetti, 1960, Milano, Adelphi, 1981, p.113:

A tutto ciò che si definisce stirpe, parentela, clan si contrappone qui un’altra unità, quella della muta. Tutti questi noti concetti sociologici, per quanto importanti, hanno qualcosa di statico. La muta è invece una unità in azione, e si manifesta in modo concreto. Da essa deve procedere chi si propone di indagare le origini del comportamento delle masse. La muta è la più antica e la più limitata forma di massa umana, quella che precedette tutte le masse nel moderno significato della parola. Essa si manifesta in parecchi modi ed è sempre nettamente percepibile. La sua attività attraverso decine di millenni è stata così intensa da lasciare tracce ovunque, e perfino nella nostra epoca, profondamente diversa dalle precedenti, sopravvivono numerose forme che procedono direttamente da essa”.

 

Infine, “ Ammesso e non concesso– scrive lo storico francese Pierre Rénouvinche [il Führer] fosse un ammalato, i suoi atteggiamenti non avrebbero avuto la stessa importanza qualora le masse tedesche non ne avessero subito la forza d’attrazione. […] Egli non fece altro che risvegliare i lati nascosti della psicologia collettiva tedesca e per questo ne ottenne l’adesione massiccia”.

Chiudiamo pertanto tornando al nostro simpatico storico ebreo di cui continuo a non ricordare il nome:

Hitler non è disumano, è umano”.

 

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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