Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Una donna in nevrosi e alcuni personaggi vacui e accidiosi vagano in un mondo inospitale e sporco. Altro capitolo del pessimismo di Antonioni, non riuscito come i precedenti, secondo me.
Altri film di Antonioni, come “La notte”, mi sono piaciuti, nonostante una certa lentezza che li caratterizza, come anche qui. Ma questo non mi ha convinto. In “Deserto rosso” la lentezza non è densa e avvolgente come in quelli, ma stagnante e sfilacciata. Certe metafore o simbologie sono inoltre un po' forzate, come quella, alla fine, dell'uccellino che non vola nel fumo giallo perché sa che fa male.... probabilmente di Tonino Guerra. L'ambientazione, comunque, è scelta con molta cura, ed assume - questa sì - un forte ed evidente valore simbolico: la desolazione, lo squallore, l'inquinamento del paesaggio (e gli interni spogli e freddi) rimandano all'umanità dei personaggi, tutti vuoti e superficiali, o pure sofferenti e depressi come la protagonista (una bellissima Monica Vitti). Questa proprio non viene capita da un marito distratto, superficiale, interessato solo al lavoro a all'azienda. Tratta la moglie quasi come il cane di casa, a cui si vuole bene ma fino ad un certo punto, e che ogni tanto bisogna portare dal veterinario. Che seccatura. Quindi è una donna estremamente sola e trascurata; da qui, forse, la sua nevrosi. E' ovvio, quindi, che il primo venuto le risulta irresistibile. Molto lento, come dicevo, incerto in alcuni sviluppi (la sequenza del gruppo nella baracca), ha però una sequenza suggestiva, di grande cinema, e forse di poesia. Mi riferisco alla fiaba della ragazzina sulla spiaggia, dove mi sono stupito per la semplice e perfetta arte di Antonioni. L'ambientazione squallida e industriale ricorda abbastanza quella di “Stalker” di Tarkovskij. Lo aveva visto?
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