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Crimes of the Future

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su Crimes of the Future

di M Valdemar
10 stelle

locandina

Crimes of the Future (2022): locandina

 

 

 

 

Crimini del Futuro.

Orrori del Presente.
Dal passato di una sceneggiatura (datata circa venti anni fa) violentemente attuale, come radiografia fluida di un sistema anatomico incredibilmente evoluto, giunge beata l’epifania cronenberghiana.
Crimes of the Future è un film-corpo della cui analitica, biosintetica, dolorosa dissezione l’autore-demiurgo-chirurgo rende gli spettatori prima partecipi e poi complici.
Una profonda riflessione universale, umana e scientifica, che coniuga la bellezza esteriore della performance art e la ricerca introspettiva dell’apparato cinematografico fino a trascendere in un pubblico atto politico eversivo, in un’(auto)autopsia collettiva che scopre escrescenze tumorali esplodendo in un’esperienza orgiastica tanto catartica quanto sacra.
Viggo Mortensen/Saul Tenser s’aggira sofferente per vicoli bui e luoghi fatiscenti, incappucciato come un frate (s)perduto che ancora s’interroga sul/i sé con l’aria ascetica di chi ha una missione ma non sa bene a chi o cosa rispondere.
È un’entità infiltrata in una realtà che progressivamente disvela la sua natura complessa e in divenire, un agente patogeno che produce nuovi organi come sintomo e causa di una ribellione che non (si) comprende, è l’espressione esposta di un’equazione, insana e seminale, che vede nella sua partner, Léa Seydoux/Caprice, il complemento (im)perfetto.
Uno è la star, tormentata e magnetica; l’altra è l’artefice, la mano armata (di un game pod chirurgico), colei che incide pelli, carni, tessuti, asportando nuova carne e creando nuove forme di bellezza interiore.
Come un tatuaggio stratificato di cui non si riesce a cogliere a prima vista non solo il significato ma neppure il disegno, i tratti, l’aspetto ma se ne percepiscono le traiettorie illuminanti, l’azione concettual-clinica del duo opera in un universo di relitti fonico-visivi e macerie dell’animo, una eXistenZ possibile, nel quale l’evoluzione umana segue percorsi imprevisti (la scomparsa del dolore e delle malattie infettive) ritenuti pericolosi da enti governativi kafkiani e la fauna composita che lo abita non è mai quello che sembra.
David Cronenberg espone e denuda la sua creatura – un oggetto allucinato e profetico, affilato come un bisturi – e la divora, digerendone religiosamente il pensiero che la anima e il sistema di artifici che la tiene in vita.
Inconfondibili gli stilemi, codificati i registri: il body horror è una veste liturgica (esclusivamente) propria, con scarti decisivi e picchi disturbanti (l’incipit con il bambino mangia-plastica; l’autopsia dello stesso; le estrazioni dei tumori tatuati), la scenografia è un impianto ibrido di spazi spogli e complementi avanzati nonché laboratorio dell’alchimista, la meccanica degli eventi è cosa scarna e scarnificata di inutili sovrastrutture o didascalismi, la messa in scena erotica e rigorosamente conventuale, il sound design e la colonna sonora – di archi aracnidi che intessono architetture/tatuaggi sottopelle – insinuanti, penetranti, la fotografia patologiicamente organica, e il flusso filmico oscuro, funereo, iniziatico.
Splendidi i due protagonisti Viggo Mortensen e Léa Seydoux; mentre a una robotica Kristen Stewart, suorina burocrate in costante eccitazione, è affidato, in un sussurro, il leitmotiv «la chirurgia è il nuovo sesso».
Ma il senso ultimo di Crimes of the Future, racchiuso nel sorriso finale appena accennato di Saul, è che siamo quello che mangiamo. E allora ci aspetta un futuro di orrori.

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