Regia di Claude Chabrol vedi scheda film
Gruppo anarchico Bakunin. Garbatella, Roma. Cineforum, cineutopia. La versione del film proiettata è quella doppiata in italiano, presa da YouTube. Mi sono portato appresso un paio di birre, stappo la prima. Un manipolo di anarchici decide di rapire un politico per poi chiedere i soldi del riscatto. Fra loro ci sono Fabio Testi in versione ispanico/rivoluzionaria, Lou Castel e Mariangela Melato. Volti e corpi (a parte Castel) che non so quanto rappresentino quella generazione che decise di prendere le armi e lottare con esse. Chabrol dirige tenendo conto delle dinamiche del genere poliziesco, concentrandosi sull’azione, quando avviene e anche sul senso di avventura che la vita dell’anarchico racchiude in sé, un pò bohémienne, un pò bandito, un pò figliodiputtana, idealista e criminale allo stesso tempo. L’atto di uccidere rimane di per sé atroce, qualunque ne sia il motivo, almeno per me. Nella potenza di un gesto rivoluzionario c’è una carica di passione, di volontà di cambiamento, di sogno, forse di una utopia. Ma un delitto, alla fine, è sempre lo stesso. Che si compia per rubare, per vendicarsi, per ribellarsi o per il semplice gusto di farlo. C’è comunque una storia che si sviluppa e dei personaggi che seguono i loro ideali. C’è sempre bisogno di armi e di soldi per sovvertire l’odine costituito. E l’alcol (stappo la seconda birra, già che ci sono) e le sigarette sono amici su cui appoggiarsi. La polizia è brutale nello svolgere le proprie mansioni, uccidendo senza troppi problemi, protetta dallo Stato. Ma nel gioco delle parti bisogna decidere il proprio schieramento e poi agire secondo coscienza o nell’assenza di essa. Una casa in campagna in cui nascondersi e pianificare. In cui essere stanati e decimati. La città come palco della sovversione organizzata. Una testimonianza registrata per far sapere quello che è successo. Non un cinema politico, neanche di sola azione, forse un pretesto per raccontarci una storia che negli anni settanta è stato il plot generazionale di alcuni, finito poi nel sangue, nella morte, nella prigione o nel ricordo di un ennesimo tentativo di rivoluzione fallito.
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