Regia di William Friedkin vedi scheda film
Discutibile e chiuso nella sua visione militaresca fino alla fine convinto di aver fatto il suo dovere.
La geopolitica può cambiare le azioni degli uomini nel fargli assumere altri significati e conseguenze, basta guardare da un’altra prospettiva o vedere solo quello che fa comodo. Il nostro militare già nel Vietnam ha dimostrato le sue capacità in combattimento riuscendo a salvare la vita almeno al suo amico. I suoi metodi sono spicci ma efficaci quando non vuoi essere ucciso devi uccidere. Egli è un marine al cento per cento non ha legami familiari e ventotto anni dopo ha fatto carriera. Lo scenario è cambiato dalla giungla vietnamita siamo passati al deserto del medio oriente dove bisogna mettere in salvo l’ambasciatore dello Yemen con la famiglia. Oggi come allora un posto che sembra tranquillo può diventare complicato e per un militare la guerra nell’estremo oriente o una operazione di messa in sicurezza nel vicino oriente uguali sono. Il “nemico” di quegli anni, prima e dopo l’undici settembre, è il fondamentalismo islamico che può trasformare una normale manifestazione autorizzata in un’azione di guerriglia. L’ambasciatore la sua famiglia e la bandiera sono messi in salvo, ma il fuoco dei cecchini minaccia e colpisce i militari americani. Quello che vediamo è la folla falciata dai marines che non fa sconti tra donne anziani e bambini. Le telecamere riprendono tutto ma gli ordini non si discutono e i morti sono da una parte e dall’altra, mentre il regista distilla la verità durante il film imponendoci di riflettere sui fatti insieme alla giuria della corte marziale. La ragione di stato impone di avere un capro espiatorio, l’uomo che non ha rispettato le regole, per salvare la faccia del paese e i suoi rapporti con i paesi della zona. Il nostro sceglie come avvocato l’amico salvato in Vietnam, da allora ferito e non più operativo si mette alla ricerca della verità conoscendo insieme a noi le ragioni del suo collega e la volontà del sistema di incastrarlo. Riflessione tutta interna al mondo militare sul fatto che la necessità di agire non sempre può seguire le regole d’ingaggio. Opera che parte come un film di guerra e diventa un giallo restando chiuso nel suo ambiente, non facilmente digeribile per il suo militarismo puro che sembra volere sistemare le cose senza intrusioni civili. la contrapposizione politica cattiva-militari buoni viene salvata dai dubbi che il regista centellina nello spettatore man mano che il quadro si completa lasciando la sensazione di un happy end parziale.
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