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Dentro la grande mela

Regia di Tony Bill vedi scheda film

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Stefano L

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La recensione su Dentro la grande mela

di Stefano L
6 stelle

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“Five Corners” è un lugubre ritratto di un’America post-Kennedy in un mesto lasso di secolo della sua storia. Questo è il periodo delle tensioni sociali per la rivendicazione dei diritti civili dei cittadini di colore, dell’utopistica e assurda illusione di poter impegnarsi con successo nella guerra del Vietnam, senza praticamente conoscere nulla né di questo territorio né dei suoi abitanti, e, naturalmente, delle iniziali, scottanti proteste giovanili. Il senso di disagio e ribellione viene avvertito nei due intrecci paralleli che scorrono simultaneamente. Nel primo, con protagonisti John Turturro (Heinz) e Jodie Foster (Linda), un maniaco schizofrenico, appena uscito di galera, è intento a perseguitare la vittima a cui anni prima aveva cercato di esercitare violenza, la quale era stata messa in salvo da un attivista (Tim Robbins) attratto dal movimento di Martin Luther King, e adesso diventato buddista e pacifista, dedito quindi alla non belligeranza. Il secondo frangente narrativo riguarda al contrario due disinvolte scapestrate passare una giornata di lubrici eccessi e pericolose improvvisazioni con degli studenti anarchici appena conosciuti, il cui professore, severissimo, è stato assassinato con una frecciata alla schiena.. Entrambe le vicende si accavalleranno in un punto cruciale che modificherà ineluttabilmente il corso degli eventi: strutturalmente inconsueto ed esteticamente maculato da accorati dettagli inerenti alla decade in cui si svolge la trama, il film di Tony Bill non convince molto nell’approccio testuale. Il fotografo Fred Murphy e le bellissime scenografie, screziate da rifiniture minuziosamente allestite, quali cartelli, automobili e arredamenti interni/esterni vintage, danno realmente la sensazione di trovarsi di quel tumido, pernicioso Bronx soggetto al vaneggiamento dilagante, al quadro avvilente dei bassifondi della megalopoli; l’interpretazione di Turturro dosa diligentemente istrionismo e scabra crudeltà, profilando uno dei villain più angoscianti e minacciosi mai contemplati sullo schermo. Il modus operandi rodato dal personaggio della Foster, però, sembra alquanto inverosimile ed inadeguato nella biliosa diatriba col suo aguzzino. Perché, ad esempio, decide di incontrarlo da sola, pur essendo al corrente della torva propensione a molestare le prede? Poco comprensibile.. A deludere completamente, tuttavia, è la digressione concomitante sopracitata, la quale oltre ad essere sostenuta da una fiacca sceneggiatura, risulta deperita da numerosi, seccanti anti-climax, come nel debole frammento sui tetti degli ascensori, ove l’apprensione scaturita in partenza si diluisce lentamente in un irritante, sfibrato momento di stanca. L’epilogo, poi, non porta a compimento la progressione delle tematiche trattate fra le righe, riducendo la porzione letteraria ad uno stato crepuscolare. Play-off: quasi un buon Crime/Drama. What a pity…

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