Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
Adoro Peppuccio Tornatore. L’adoro perché ha diretto uno dei tre o quattro film della mia vita, uno di quei film che ogni tanto devi rivedere per rimettermi in pace col mondo (Nuovo cinema Paradiso); perché ragiona in grande mantenendo un atteggiamento umile; perché, detto molto banalmente, parla di cose che mi interessano. Adoro i suoi film più lirici (L’uomo delle stelle, La leggenda del pianista sull’oceano, Baarìa) e quelli più torbidi (Il camorrista, Una pura formalità, La sconosciuta). Mi piace pure come persona, mi dà la sensazione di uno che ama quel che fa, vivendo il cinema come passione totalizzante. Detto ciò, esibita la mia patente di tornatoriano doc, non riesco a digerire Malèna, un film totalmente sbagliato, posticcio, grossolano, realizzato con l’ansia di piacere agli americani (il più grave difetto di Tornatore sarà sempre quello di cercare l’approvazione oltreoceano) e tradendo una certa idea di narrazione che aveva seminato nelle opere precedenti. In Malèna manca completamente la narrazione: vive di un’ideuzza (la bella del paese e il mondo che le ruota attorno visto dagli occhi di un bambino innamorato di lei) che si sviluppa in un pastiche di metacinema (i personaggi del film all’interno di film storici quasi come alla ricerca di una sublimazione cinematografica dell’amore-ossessione quotidiano: Malèna è il cinema, quindi l’amore nel suo senso più assoluto) e fotoromanzo muto, senza una reale ragione d’esistere. C’è un po’ tutto il calligrafismo ridondante del Tornatore più stanco, e non è un caso se il film successivo (l’ottimo La sconosciuta) sia arrivato a molti anni di distanza. Monica Bellucci fa quel che la non-storia le richiede: è un corpo, un corpo stupendo, ma pur sempre un corpo. Unico guizzo: il finale dopo tanti anni, in linea con l’ossessione del tempo del suo autore. Ennio Morricone scatenatissimo a cui sfuggì ancora una volta l’agognato Oscar.
Voto: 4.
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