Regia di Jake Scott vedi scheda film
Le parole che consentono di accostarsi adeguatamente a un docufilm come “Oasis Knebworth 1996”, diretto da Jake Scott e pervenuto alle sale nel settembre del 2021, risiedono in uno dei brani più celebri della band posta al centro della pellicola, ossia “Hey Now!”. All’interno della canzone, tra le più note di “(What’s The Story) Morning Glory?” (1995), la voce di Liam Gallagher intona la seguente frase: «I took a walk with my fame down memory lane [...]». Ebbene: l’opera diretta da Scott, la quale è stata recentemente indicata dalla rivista NME come il documentario che nel 2021 ha riscosso i maggiori incassi in Gran Bretagna, altro non è che una travolgente scorrazzata per la memoria. Un moto iconografico e uditivo capace di effondere con partecipe fedeltà lo spirito di un evento divenuto epocale per un’intera generazione.
Agosto 1996. All’epoca gli Oasis stavano solcando le acque del successo e della piena affermazione: alle loro spalle si trovavano già “Definitely Maybe” (1994) e il succitato “(What’s The Story) Morning Glory?”, album destinati a ricevere imperituri elogi ed allori. A coronamento di un periodo tanto fortunato, il complesso decise di tenere due concerti presso il pacifico villaggio di Knebworth, situato nelle aree settentrionali dell’Hertfordshire. Lì si trova tuttora l’elegante Knebworth House, edificio dalle forme gotiche legato alla nobile famiglia Lytton. Nel 1996 uno dei discendenti di tale stirpe, ossia Henry Lytton-Cobbold, mise a disposizione della band l’immenso parco della residenza, il quale aveva già ospitato altre stelle della musica: basti pensare che nel 1975 vi si erano esibiti i Pink Floyd e nell’anno seguente i Rolling Stones. Per spiegare l’inaudito successo delle serate realizzate dagli Oasis è sufficiente sciorinarne i numeri: tra il 10 e l’11 agosto 1996, mezzo milione di persone calcò i prati di Knebworth (250.000 individui a serata), rendendo l’evento uno dei concerti di maggior successo nella storia della Gran Bretagna. 2,5 milioni è la cifra indicante le richieste ricevute dai botteghini: all’epoca, si trattava del 5% dell’intera popolazione britannica. I biglietti furono esauriti nell’arco di otto ore. I ricavi superarono i sei milioni di sterline. 34 gli stati in cui l’evento venne diffuso in diretta radiofonica. All’inizio della prima serata Noel Gallagher, galvanizzato e trionfale, pronunciò parole poi divenute celebri: «This is History, this is History: right here, right now...». A oltre vent’anni di distanza, contraddirlo pare assai arduo.
Le scelte operate da Scott, le quali sono riuscite nel temibile compito di guadagnarsi l’approvazione degli spigolosi fratelli Gallagher, rispondono generalmente al criterio della semplicità: la vicenda di Knebworth viene narrata rispettandone lo svolgimento cronologico ed esaltandone la componente musicale, che nell’opera prevale in misura netta. Le peculiarità più singolari del docufilm risiedono in due elementi: il primo di ordine narrativo, il secondo di ordine tecnico. La ricostruzione dei due concerti, diversamente da quanto tende ad accadere in questa tipologia di produzioni filmiche, non presenta l’intervento di specialisti del settore: durante i 110 minuti orchestrati da Scott, nessun pleonastico commento simil-giornalistico interrompe il fluire dei ricordi. Fatta eccezione per alcune ineludibili spiegazioni di contesto, la riproduzione delle serate di Knebworth segue una modalità che ben si addice all’immagine di sé trasmessa con costanza dagli Oasis: abbattendo qualsiasi forma di distanza tra celebrità e individui comuni, la narrazione si struttura alternando la voce dei membri che allora formavano gli Oasis a quella di alcuni tra i fan che parteciparono ai concerti, i quali si fanno veicolo di godibili e toccanti testimonianze. In sostanza, un approccio orizzontale, paritario, fraternamente empatico: all’insegna degli ideali propri del mondo cui gli Oasis hanno sempre dichiarato di appartenere, ossia quello della classe operaia britannica. Musica e immagini, poi, sostanziano il grandioso evento in maniera tecnicamente encomiabile: lo spettatore può così abbandonarsi a una profonda immersione emotiva nell’incanto che animò le due serate, scandite dalle vitalistiche note della band e da un’atmosfera di gioiosa euforia collettiva – fenomenologia di una generazione, quella della Cool Britannia.
“Oasis Knebworth 1996” è un docufilm che realizza validamente più fini: tramanda con fedeltà una memoria, rievoca la carica artistica di uno tra i più noti complessi della storia recente, narra un evento irripetibile senza tradirne i protagonisti – band e pubblico, s’intende. Tornando a “Hey Now!”, il brano menzionato in precedenza, altre parole affiorano: «You know that I gotta say, Time slipping away and what will it hold for me?». Nel caso degli Oasis, come il docufilm permette di comprendere, il tempo sarà sempre latore di gratitudine: l’ammirata e vibrante gratitudine di tutti coloro che, a qualsiasi età e in qualsiasi epoca, potranno scoprirne l’intramontabile arte.
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