Regia di Terence Davies vedi scheda film
L'ultimo film realizzato a tutt'oggi da Terence Davies è "La casa della gioia", ("The house of mirth", 2000) tratto dal romanzo di Edith Wharton, dove si narra la storia della caduta di Lily Bart nel frivolo e corrotto mondo dell'aristocrazia newyorchese di inizio Novecento. Lily è una donna bella e affascinante, ma non riesce a decidersi fra l'amore che prova per l'avvocato Selden e la necessità di un matrimonio di convenienza con un uomo ricco. Dopo una serie di scandali e vicende poco gratificanti, Lily scenderà sempre più in basso nella scala sociale, finché, delusa anche da Selden, non deciderà di togliersi la vita.
Davies è stato attratto dalla modernità del romanzo della Wharton, la cui critica della falsità e della superficialità del mondo dei ricchi è più che mai attuale, e ha realizzato un'opera totalmente diversa dalle altre, con un budget più consistente e con una narrazione assai più corposa rispetto agli esili bozzetti intimisti dei primi film. Qui Davies ha preferito quelle cadenze melodrammatiche (quasi "operistiche") che in precedenza aveva sempre rifiutato, e per dare il giusto risalto alle atmosfere si è servito di costumi e scenografie sontuosi e di attori di richiamo come Dan Aykroyd (nel ruolo per lui insolito del "cattivo") ed Eric Stoltz, tra cui si è inserita perfettamente la protagonista Gillian Anderson, sorprendentemente all'altezza del difficile ruolo di Lily. Davies ha scelto una severità di tono rara per questo genere di dramma in costume, che risulta alquanto lontano dal manierismo accademico di certe opere di Ivory, e a livello stilistico ha fatto un uso frequente di piani-sequenza e dissolvenze incrociate, queste ultime soprattutto nella prima parte. Il tema della condanna di una società rigidamente classista che tende a escludere come un corpo estraneo chi non si adegui alle sue regole dettate dal denaro e dal potere economico era stato trattato anche in un altro adattamento dalla Wharton realizzato in questi anni, "L'età dell'innocenza" ("The age of innocence", 1993) di Martin Scorsese, con cui "La casa della gioia" regge bene il confronto. Anzi, si può dire che il film di Scorsese sia forse più edulcorato di quello di Davies, e inoltre risulta più letterario per la presenza di una voce fuori campo un po' ingombrante, mentre "La casa della gioia" rinuncia ad ogni alone di romanticismo e si concentra sulla straziante odissea della protagonista, con la quale il regista probabilmente si identifica. Infatti, anche Lily è una "diversa" rispetto all'ambiente sociale che la circonda, e il regista ci narra la sua caduta nella miseria con una pena sottile e una partecipazione incondizionata. Lo sdegno che il regista ci trasmette per questi ricchi avidi e crudeli non si esaurisce però in se stesso, ma va oltre, e arriva alla condanna di qualsiasi sopruso che venga esercitato sui più deboli. Inoltre, è facile intuire che egli abbia voluto instaurare un parallelismo col mondo di oggi, dove il denaro e le apparenze continuano a farla da padroni. 8
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