Regia di Terence Davies vedi scheda film
Lily Bart, nella New York di inizio secolo, è contesa da qualche facoltoso pretendente ma non accetta compromessi, non si “vende” e non si abbassa agli intrighi delle amiche. Resta sola, povera, e reietta. L’inglese Terence Davies si ispira al romanzo di Edith Wharton “The House of Mirth” per un esercizio di stile impeccabile ma affatto incisivo. Dopo la splendida trilogia di “Voci lontane…”, l’autore, già con “Serenata alla luna”, omaggio all’estetica di Edward Hopper, ha voltato pagina in nome di una ricerca formale un po’ ingessata. Certo i piani sequenza e il rapporto tra gli spazi sono interessanti, ma Martin Scorsese e il suo “L’età dell’innocenza” (sempre tratto dalla Wharton) restano modello irraggiungibile per tutti. “La casa della gioia” non ha il coraggio di essere un mélo e non ha la forza dell’arte assoluta. Inoltre subisce il più incredibile pasticcio di casting degli ultimi tempi. Gli interpreti sono tutti fuori ruolo e fuori luogo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta