Trama
Nel tentativo di offrire una vita migliore alla famiglia in campagna, il diciottenne Mateus accetta un lavoro in una discarica di San Paolo per conto di Luca, il suo nuovo capo. Quando però con altri ragazzi rimane invischiato nel pericoloso mondo del traffico di esseri umani, Mateus è costretto a decidere se lavorare per l'uomo che lo ha imprigionato o mettere a rischio il proprio futuro e quello della sua famiglia.
Approfondimento
7 PRISONERS: UNA STORIA INEVITABILE
"Quando vedo qualcosa che mi disturba, preferisco non girarmi dall'altra parte", afferma il regista Alexandre Moratto. "Devo affrontarla. Spesso mi chiedono perché tratto sempre argomenti tanto delicati. Rispondo sempre che non posso farne a meno. Fingere di non vedere non è nelle mie corde".
Il trentaduenne Moratto ricorda un momento in particolare in cui non è proprio riuscito a distogliere lo sguardo e che l'ha portato a dedicare mesi allo sviluppo della sceneggiatura originale di 7 Prisoners, il thriller che rappresenta la sua seconda opera cinematografica. Stava guardando un servizio speciale su Globo News, in Brasile, che parlava della schiavitù moderna di decine di migliaia di lavoratori segreti, costretti a lasciare le loro povere case per svolgere contro la loro volontà lavori pericolosi ed estenuanti attirati dai gatos, reclutatori che promettono alti salari per poi trasformare i subordinati in veri e propri schiavi, facendo leva su debiti o altre cose peggiori.
"Una delle immagini che ho visto a San Paolo è quella di un ragazzo incatenato costretto a lavorare con la forza", racconta Moratto. "Stiamo parlando di una città globale del XXI secolo. La cosa mi ha sconvolto".
Così è iniziata la fase di minuziosa ricerca del regista, esattamente come è successo con Socrates, il suo primo film del 2018 molto apprezzato dalla critica che parla di un adolescente di San Paolo costretto a lottare contro povertà, dolore e omofobia. Moratto ha iniziato a leggere dozzine di articoli che ha raccolto in un foglio Excel per poi passare a saggi e reportage. Ha incontrato importanti giornalisti esperti di queste storie che avevano assistito in prima persona alle retate di lavoratori illegali.
"Eppure sentivo di non aver fatto ancora abbastanza", spiega Moratto. Per questo decide di accompagnare un'amica impegnata a intervistare le vittime del traffico di esseri umani per conto delle Nazioni Unite e del Ministero del lavoro del Brasile. "Sono stato la sua ombra per un'intera settimana durante le interviste", ricorda. "Ho preso appunti infiniti, ma al di là delle informazioni, ho potuto guardare le persone negli occhi, vedere le espressioni dei loro volti e interagire con loro. È stata un'esperienza estremamente rivelatrice".
La missione di Moratto come regista è quella di portare alla luce le ingiustizie. "È importante", spiega. "Mi sono sempre molto interessato al sociale, non necessariamente al lato politico della cosa, ma all'aspetto umano, alle persone e a ciò che li costringere a prendere determinate decisioni".
Così la sceneggiatura ha iniziato a prendere forma. Si concentra su un ragazzo che viene sfruttato assieme ad altri a San Paolo, città a lui sconosciuta. "Purtroppo per i poveri il rischio di finire in loschi traffici è maggiore", lamenta Moratto. "È un dato di fatto e ho sentito di voler fare un film dalla loro prospettiva".
Per la sceneggiatura il regista si affida al talento e all'intuizione di Thayná Mantesso, con cui ha collaborato per Socrates nell'ambito di un programma finanziato dall'UNICEF mirato a promuovere le giovani voci delle comunità a basso reddito.
"Quando abbiamo iniziato a lavorare per Socrates, Thayná aveva 18 anni", ricorda Moratto. "Non aveva fatto grandi studi, ma aveva una propensione naturale per la sceneggiatura. Cosa puoi insegnare a un talento simile? Inoltre, ci tenevo a lavorare di nuovo con lei perché è una cara amica dotata di grande genio artistico, ma anche perché è una giovane donna nata e cresciuta proprio nelle comunità di cui volevo parlare. Poteva offrire una visione dall'interno e sapevo che sarebbe stata in grado di rendere giustizia a questi personaggi".
Mantesso e Moratto hanno iniziato a scambiarsi bozze e proposte di scene, lavorando insieme in Brasile e poi in America grazie a una borsa di studio per la scrittura di sceneggiature offerta dal San Francisco International Film Festival. Infine, arrivò il momento di inviare la storia a due produttori molto speciali, entrambi registi affermati, che hanno fatto di Moratto il loro protetto emergente.
Curiosità
SIMBOLISMO DIETRO AL FILM
Le riprese di 7 Prisoners sono state girate a San Paolo con telecamere digitali RED e sono durate 32 giorni per concludersi un giorno prima che il lockdown per il COVID-19 rendesse impossibili simili produzioni, soprattutto in un Brasile duramente colpito. Nonostante qualsiasi correlazione tra una pandemia globale e le idee del film risulti essere involontaria, il pubblico si avvicinerà al film con quest'ottica. Moratto lo sa bene.
"La pandemia ha definitivamente peggiorato le disuguaglianze sociali", constata il regista.
"Dobbiamo rispettare il distanziamento sociale, ma ritengo che siamo dei privilegiati, voi, io e la maggior parte delle persone perché possiamo starcene seduti a lavorare a casa usando Internet, mentre ce ne sono altre che svolgono attività che non lo consentono e che sono quelle maggiormente colpite".
Moratto ricorda una scena del film in cui Luca indica i cavi che portano elettricità alla città, quegli stessi fili da cui Mateus e i suoi compagni prigionieri tolgono incessantemente il rame e prosegue: "All'improvviso, viaggiamo insieme ai cavi, scopriamo così che portano l'energia elettrica per alimentare i sistemi di trasporto usati dalle persone in città e per illuminare tutta San Paolo. Non volevo che il film scadesse in facili condanne, ma siamo tutti complici. Vogliamo tutti risparmiare, ma spendere meno ha il suo prezzo".
Convinto che la pandemia abbia messo nuovamente in evidenza una più ampia interconnettività sociale, anche il produttore Bahrani la ritiene una sequenza fantastica e aggiunge: "Penso che il mondo stia vivendo una sorta di trauma condiviso, soprattutto le persone della classe operaia, vale a dire la stragrande maggioranza degli individui sul nostro pianeta. 7 Prisoners è una storia globale che susciterà l'empatia degli spettatori di tutto il mondo".
Santoro vede il film sia su un piano microscopico sia su un piano macroscopico. Si augura che possa aumentare la consapevolezza delle condizioni di sfruttamento non solo in Brasile, ma in tutto il mondo perché, sfortunatamente, è un fenomeno che si verifica quotidianamente ovunque. L'attore fa notare inoltre che il film esplora il lato oscuro della natura umana e le conseguenze che ne derivano.
"Il potere corrompe", chiosa il produttore Meirelles. "Alex sta raccontando il genere umano. Basta guardare Il Signore degli Anelli. È la stessa storia. Le idee e l'anima di un bravo ragazzo sono all'improvviso corrotte da un anello. In fin dei conti credo si tratti di un film sul potere".
Scosso dall'esperienza di interpretare Mateus, Malheiros spera di riuscire a fare la differenza. "Faccio l'attore perché penso che i film possano cambiare il mondo", confessa. "Il cinema in Brasile è molto più che mero intrattenimento. Riveste un ruolo sociale e getta luce su ciò che la società vuole lasciare nell'ombra. Questo film ha proprio questo potenziale e vogliamo che le persone si sentano trasformate dopo la sua visione. La schiavitù esiste e non è molto lontana da noi".
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Commenti (3) vedi tutti
La facile intercambiabilità, quando entra in campo la convenienza, tra vittima ed aguzzino nell'essere umano. Semplice, lineare e senza sconti alle esigenze del racconto di finzione. Finalmente un film che parla di sfruttamento e disuguaglianze sociali.
commento di bombo1La facile intercambiabilità, quando entra in campo la convenienza, tra vittima ed aguzzino nell'essere umano. Semplice, lineare e senza sconti alle esigenze del racconto di finzione. Finalmente un film che parla di sfruttamento e disuguaglianze sociali.
commento di bombo1Come nasce un kapò, il meglio della feccia umana.
commento di gruvieraz