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Giulia

Regia di Ciro De Caro vedi scheda film

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La recensione su Giulia

di mck
8 stelle

La dolce vittoria della sua crudeltà.

 

Giulia in agosto esce il giorno e la sera, lungo il Tirreno, ovvero: Te la ricordi Nella?

 


Sballata, gasata e completamente fusa, Giulia, una eccezionale Rosa Palasciano (e non che Ciavoni, personaggio stracultiano D.O.C.G., sia da meno, eh), qui anche co-sceneggiatrice on/out set (assieme al regista Ciro De Caro giunto con questa alla sua terza prova nel lungometraggio dopo “Spaghetti Story” e “Acqua di Marzo” e che già l’aveva diretta in un suo cortometraggio, “Odio l’Estate”) e giusto-banalmente sottosopra sin già dalla locandina, passando dalla Milano autunnale dell’esordio soldiniano di metà anni ‘80 con protagonista un’altra commessa omonima alla Roma di oggi (tra la prima e la seconda ondata del 2020 di SARS-CoV-2) in cui i protocolli CoViD dettano giustamente legge non consentendo agli anziani di morire felici tra uno starnuto e un giro di rumba (nessun commento sonoro, ma tre “esaltanti” momenti canori: uno con “Yes Sir, I Can Boogie” (Dostal/Soja) delle Baccara e due con “Funiculì Funiculà” (Turco/Denza) intonatamente stonata a cappella dalla stessa protagonista, prima con base musicale preregistrata e poi accompagnata dal vivo con una chitarra acustica) broccolante, si aggira - costantemente inquadrata, come tutto il film (fotografia di Manuele Mandolesi, documentarista), utilizzando focali medie (50/85mm), così da riprendere solo il “necessario” (montaggio di Jacopo Reale, anche lui proveniente dal documentario), e anche meno: il primo Nanni Moretti aleggia - per quest’afosa (ignara di quella del 2022) Estate Romana garronesca, dirigendosi dalla propria inadeguatezza entro/fuori le mura di quartiere (Doinel a Fiumicino) verso la Maremma (del resto, una volta imboccato Viale Coccia de Morto, basta superare Fregene, Civitavecchia e Orbetello, ed eccoli i butteri che già ti fanno ciao con la mano, sempre che non gli liberi a tradimento i cavalli dai recinti all’aperto, però), mentre su tutti i personaggi incombe la "nuova" povertà, e costantemente brontola un’atavica fame decurtisiana.



Oltre a quella di Rosa Palasciano, in levare, e del "caro buon" Fabrizio Ciavoni, in - ehm - sottrazione, spicca la prova del deuteragonista Valerio Di Benedetto, mentre chiudono bene il cast principale Cristian Di Sante (questi ultimi due già diretti dal regista nel suo film d’esordio) e (in un post-prologo che per l’appunto sin da subito - dopo il vero inizio parimenti "sganciato" dal comune tangibile umano - mette le cose in "chiaro" delineando i limiti dell’assurdo relativi alla realtà nella quale il film ci trasporta: ladra di preservativi usati per placare la sua sete di maternità) Leonardo Bocci. Prodotto da Fare Cinema e distribuito Koch Media, il film è ora nel catalogo streaming di MUBI

Da confrontare con i tanti altri film italiani recenti dedicati a delle one woman show (sostantivazione su "donna") quali - ne cito solo due, e tra i meno conosciuti per non fare torto ad alcuno, o a tutti - “Emma Sono Io” (Cecilia Dazzi per Francesco Falaschi, 2002) e “In Viaggio con Adele” (Sara Serraiocco per Alessandro Capitani, 2018). E col cinema di Gianni Di Gregorio.

 


Nota. Il film - in cui, commisto al tragico, si ride molto (del ridicolo, ma non del patetico): è una versione alternativa/collaterale di “Boris” in cui lo stagista-schiavo Alessandro (Tiberi), abitante in un quartiere di studenti fuori corso figli di papà, scenografi fan-cazzisti, dominedò e idraulici priapici, appena lasciato da Arianna (Dell’Arti ↔ Caterina Guzzanti), “intesse” una relazione con una versione proletaria della Fija de Mazinga (Eugenia Costantini) incrociata con la Valeria Bruni Tedeschi (fuori target e/o non disponibile per questo lavoro) di “la Pazza Gioia” - contiene il momento cinematografico e non solo (che vincerebbe a mani basse un ipotetico concorso gemello di quello organizzato da Guy Maddin e Isabella Rossellini per la canzone) più triste del mondo: in un cassetto, una busta con una scritta a pennarello…

 


Poi, già citato il gemellare Silvio Soldini e, di sponda, il consimile Giuseppe Piccioni, e spuntati i più o meno non correlati vertici (Zinnemann/Sargent/Hellman/Redgrave/Fonda, Truffaut/Irish/Deneuve, Strindberg) e i crepacci (le Vibrazioni), e in mezzo Beatles, Pink Floyd, Franco Battiato («“prego, fragole con panna”, dicevo»), Vasco Rossi, Eurythmics, Ivan Graziani, Fabio Concato, Fred Buscaglione, Francesco Baccini, Alunni del Sole, Pooh, Statuto, Pinguini Tattici Nucleari e pure Gianni Togni, toh, non rimane che l’Antonello nazionale: Giulia e “la dolce vittoria della sua crudeltà”

* * * ¾ - 7.5      

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