Regia di Monica Stan, George Chiper-Lillemark vedi scheda film
Daria è una giovane donna. L'amore ingenuo le ha lasciato in dono la tossicodipendeza catapultandola nell'abisso di un centro di riabilitazione nel quale le relazioni che si instaurano hanno il sapore amaro degli abusi di potere.
Nella pellicola autobiografica di Monica Stan, in collaborazione con George Chiper, la macchina da presa è fissa su Daria, Ana Dumitrascu, come a volerne seguire l'evoluzione. Da ragazza spaventata e inconsapevole, lusingata dalle attenzioni dei compagni di istituto, a donna vittima di un sistema complesso e malato di cui ad un certo punto diventa complice, quasi artefice per riuscire poi a liberarsene.
Notevole la scelta registica di lasciare da parte luoghi e protagonisti facendo prevalere sempre il primo piano sulla protagonista lasciando spesso fuori dell'inquadratura ciò che la circonda, inculcando nello spettatore la prospettiva unica di visione sulla metamorfosi di una donna che cambia in base all'ambiente che la circonda.
Tempi lenti e a volte asfissianti scandiscono i giorni senza tempo di Daria in un film che ha una sceneggiatura povera e si basa molto anche sulla fotografia sviluppata su una palette di colori tendente al bianco, a quel colore immacolato, da cui il titolo, che avvolge il luogo del cambiamento, fuori invece diventa tutto grigio e scuro.
Un lavoro introspettivo che vince il GdA Director's Award 2021 alla 78esima edizione del Festival del cinema di Venezia.
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