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Viaggio nel crepuscolo

Regia di Augusto Contento vedi scheda film

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La recensione su Viaggio nel crepuscolo

di EightAndHalf
7 stelle

Viaggio nel crepuscolo di Augusto Contento è un documentario che torna sul dilemma irrisolto della generazione sessantottina, percorrendo come in una sinfonia punk gli snodi essenziali di quel periodo che erano i 20 anni dalla fine della guerra mondiale. Dalla rottura con i poteri precostituiti del 68 fino alle contraddizioni ideologiche dell’ era stragista, le domande sono indubbiamente le stesse di sempre, pronunciate da delle voci fuoricampo che oggi non sembrerebbero neanche aver avuto un passato militante. Eppure è uno spettro a cui non riescono a non ritornare, un oceano che non riescono a non salpare con la nave della memoria squarciandone le apparenze più ovvie per scoprirne verità forse ancora celate.

Il film, proprio perché si sofferma ossessivamente su qualcosa che ci viene detto da sempre, ha l’incedere zombesco di una storia cosciente di essere diventata tematica, e che ancora non si rassegna alla sparizione di quella polarizzazione ideologica che pure ha spaccato l’Italia per decenni. 

Contento concepisce il suo requiem inquieto come una successione di animazioni o performance scollegate, talmente ricche da causare una spaccatura profonda fra il visto e il sentito. Le voci di Bellocchio, Herlitzka, Serra,  Lerner e altri vengono davvero dall’oltretomba, e non riescono a capire cosa sia successo e cosa sia rimasto. Tutti, compreso il film, hanno ben chiaro che niente servirà più a nulla e che la lotta di 50 anni fa è diventata un dramma umano puramente esistenziale che fa i conti con un presente inattivo. Le animazioni esaltano questo costante senso di fine che è come un atto autocannibalistico: Bellocchio squarcia la patina che gli sta davanti accedendo a una sala cinematografica che sta dentro le fauci di un’orca; dei volti svankmajeriani in basso rilievo si divorano; un uomo sale delle scale a chiocciola che sono in realtà la penisola calabrese; due ballerini evocano lo stupro di Franca Rame tra le stradine di Bobbio, descritta come villaggio di streghe da Paola Pitagora; tre donne si fanno sempre le stesse domande come in un interrogatorio violento, senza speranza di cavare un ragno dal buco. Forse l’inadeguatezza è il nuovo sentimento che viene fuori da questo viaggio nel crepuscolo, quegli attivisti che oggi militano da borghesi invecchiati nei talk show si sentono un po’ in colpa per aver ucciso i loro genitori ed esserlo diventati anch’essi poco dopo, accedendo alla Storia dalla porta laterale di servizio dell’ideologia. Le loro voci sono una nenia funebre.

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