Regia di Wong Kar-wai vedi scheda film
Un melodramma formalmente perfetto, di seducente ed eterea malinconia, sulla fantasia di un amore impossibile da concretizzare, molto più che di trama e dialogo è fatto di atmosfera, meticolosamente costruita con una minuziosa attenzione per il dettaglio, il cui fine è la creazione appunto di un mood, di uno stato emotivo.
Hong Kong, 1962. Il signor Chow, giornalista (Tony Leung), e la signora Chan, segretaria di un'agenzia (Maggie Cheung), si trasferiscono lo stesso giorno in due stanze/monolocali attigue, messe in affitto dalla signora Suen. I due, entrambi sposati, si trovano presto accomunati dalla scoperta che i rispettivi coniugi, spesso in viaggio per lavoro in contemporanea, hanno tra loro una relazione extraconiugale. Questo avvicina Chow e Chan, tra cui nasce un rapporto di affinità e complicità indefinibile, che per intensità si può certamente definire un grande amore, nonostante apparentemente non venga consumato, perché “non siamo come loro”.
L'eleganza fatta film poteremmo definire l'opera più celebre di Wong Kar Wai, talmente famosa che l'edizione restaurata è stata proiettata nella primavera 2021 persino nella triste Genova dimenticata dal Cinema, a differenza delle altre opere dell'autore parte del medesimo progetto di Tucker Film , che per essere viste sul grande schermo richiedevano viaggi come minino a Milano o a Torino.
Un melodramma di seducente malinconia sulla fantasia di un amore impossibile da concretizzare, In The Mood For Love molto più che di trama e dialogo è fatto di atmosfera, meticolosamente costruita con una minuziosa attenzione per il dettaglio, il cui fine non è certo il realismo, ma piuttosto la creazione appunto di un mood, di uno stato emotivo. Vi contribuisconola splendida fotografia di Christopher Doyle, con i suoi verdi brillanti e i rossi infuocati, l'eleganza vintage del guardaroba di Maggie Cheung, le sapienti architetture di frames within frames attraverso porte, corridoi, finestre, specchi o finestrini, l'orologio da muro Siemens a scandire il passaggio del tempo, che sembra però ritorcersi su se stesso in un ritorno circolare nelle medesime location, i ralenti struggenti, con la colonna sonora a riempire le inquadrature molto più delle parole. Anche il riascoltarsi delle medesime note contribuisce a rafforzare quel senso di circolarità che l'autore vuole imprimere: il tema ricorrente è un valzer di Shigeru Umebayashi che esplode ogni volta più devastante, e poi si sente più volte la classe delle romantiche canzoni in spagnolo incise da Nat King Cole: Aquellos Ojos Verdes e Quizas, Quizas, Quizas.
Tante sequenze perfette: gli incroci per le strette scale che conducono al loro angusto corridoio, le passeggiate sotto la pioggia e il viaggio in taxi, il finale struggente tra i templi cambogiani di Angkor Vat e il segreto affidato al tronco di un albero sigillato col terreno, praticamente quasi tutte. Ma la mia preferita è la snervante scena in cui Chow e Chan rimangono chiusi nella stanza di lui per ore perché la padrona di casa è impegnata in una infinita partita a mahjong con altri vicini e lei non può rischiare di essere vista uscirne dando adito a pettegolezzi; nonostante la loro relazione sembri restare ad un livello platonico, la società conservatrice della Hong Kong anni '60 non avrebbe certo visto di buon occhio un legame così stretto tra un uomo e una donna sposati con altri.
Wong Kar Wai intesse la sua riflessione anche sul tema del tradimento, da cui l'incontro tra i due personaggi prende le mosse, con scelte per nulla scontate sul cosa mostrare e cosa no: ad esempio, i due fedifraghi non si vedono mai in volto, ma i protagonisti li mettono in scena giocando ad una fantasia contorta in cui ciascuno interpreta il coniuge dell'altro. Inoltre, ironia della sceneggiatura vuole che la signora Chan abbia tra le sue incombenze lavorative gestire la doppia vita del principale e coprire le sue uscite con l'amante, comunicando telefonicamente alla moglie improcrastinabili impegni di lavoro.
L'unico limite che ho potuto trovare a In The Mood For Love è quello di essere una pellicola fin tropo rarefatta nella sua intangibile perfezione formale e questa eterea impalpabilità arriva ad essere financo eccessiva nel sottrarre peso e “carne” alla trama, al punto di far perdere a questo grande film, nella mia valutazione, l'ultima mezza stella che serve a far gridare al capolavoro assoluto.
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