"Il solitario è un diminutivo di selvaggio, accettato dalla civilizzazione",
diceva Victor Hugo ne "L'Uomo che ride", mastodontico romanzo che racconta le vicende di Gwynplaine, uomo deformato, che trova l'amore di Dea, una ragazza cieca cresciuta col misantropo Ursus. Ma quando il selvaggio smette di essere solitario, allora la civilizzazione smette anche di accettarlo, e quando ci si pone contro lo status quo (la nobiltà inglese, nel romanzo di Hugo) il destino a cui si va incontro è inevitabile.
È quanto avviene a Inu-Oh e Tomoari, il primo, nato deformato e appassionato di teatro e di danza; il secondo, divenuto cieco, e virtuoso suonatore di biwa. Insieme, girano il Giappone mettendo su spettacoli che raccontano la storia perduta del clan Heike, sconfitto seicento anni prima dal clan Genji. "Che ci faccio qui? Vengo a essere terribile. Sono un mostro, voi dite. No, sono il popolo. Sono un'eccezione? No, sono come chiunque.": i racconti di Inu-Oh e Tomoari coinvolgono talmente tanto il pubblico e il popolo da renderli i cantastorie più popolari della regione. La storia scritta dai vincitori, però, rischia di essere messa in discussione, e lo shogunato vieta categoricamente i nuovi racconti scritti dal gruppo.
Inu-Oh e Tomoari si dividono e, come Dea e Gwynplaine che annegano per ritrovarsi, anche loro due riusciranno a riunirsi soltanto nella loro seconda vita.
Il film riprende ampiamente il tema della deformità e della mutilazione come chiave per interpretare la condizione di un popolo assoggettato al dominio dei governanti: "io rappresento l'umanità, tale quale fu ridotta dai suoi signori. L'uomo è un mutilato, e quel che fu fatto a me, fu fatto al genere umano. Gli hanno deformato il diritto, la giustizia, la verità, la ragione", il tutto condito con un po' di queerness, e con un'importante riflessione sulla musica e sull'arte come forma di liberazione, sia personale (Inu-Oh che diviene bellissimo) che universale (con le verità alternative che continuano ad essere trasmesse).
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