Regia di Valentyn Vasyanovych vedi scheda film
Venezia 78. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
L'Unione Sovietica non c'è più da trent'anni ma le grandi pianure dell'Eurasia sono battute periodicamente dai venti di un passato irrequieto che minacciano la stabilità e gli equilibri di una zona sempre più instabile politicamente. La Russia ha spiegato le truppe sul confine ucraino per punire Kiev, rea di sottostare alla sua egemonia nell'area, mentre Putin si coccola nell'illusione di riportare il paese indietro di sett'antanni e rigiocare con l"Occidente la partita persa da Stalin. Per placare la sete di potere e rivivere il malinconico dualismo tra potenze mondiali il "presidente del KGB" ha rinsaldato i rapporti con la Cina durante la tregua olimpica, si è circondato di marionette come Alexander Lukaschenko, ha condiviso esercitazioni militari in territorio bielorusso, ha stretto la mano ad un ondivago Erdogan ed ha sobillato Yevhen Murayev affinché potesse diventare presidente collaborazionista di un'Ucraina occupata. Non pago ha schierato l'esercito ai confini del Kazakistan, paese ricco e facilmente corruttibile, ed è intervenuto nel sedare una rivolta interna dall'origine oscura. E mentre la prima ministra lituana Ingrida Symonite non ha risparmiato critiche e preoccupazioni verso Lukaschenko che potrebbe abbattere i confini del suo paese in un delirio di onnipotenza supportato dalla federazione russa, l'Ucraina è ad un passo dal ritornare un teatro di battaglia e ridursi ad uno spezzatino georgiano con il beneplacito dei russi. In tal senso il ponte costruito, e poi smontato sul fiume Pripyat, nome che evoca il baratro atomico, non sembra destinato a ridurre le distanze tra due popoli ma ad acuirne le ideosincrasie.
In un contesto così fluido ed evanescente è quasi necessario raccontare "Reflection" di Valentyn Vasyanovych che "riflette" i drammi della popolazione Ucraina, dal 2014 appesa ad un filo, un filo quanto mai teso che potrebbe spezzarsi alla prima bava d'aria che soffiasse con maggior intensità.
Protagonista di questo film, presentato in concorso a Venezia lo scorso settembre, è Serhiy, chirurgo ucraino che vive il prima fila, seppur in un normale ospedale, la guerra separatista, con le mutilazioni da operare e le schegge da estrarre da corpi al macello dei soldati. Per accondiscendere ad un impeto di adolescenziale patriottismo della figlia Serhiy si arruola volontario e finisce a raccattare e rattoppare corpi nel mezzo della guerra. La guerra lo accoglie con un ventaglio di atrocità e umiliazioni che portano il protagonista a ripensare se stesso, il suo ruolo di genitore e di ex marito in una vita civile pronta a riattenderlo nel cuore delle proprie sicurezze, un appartamento chiuso e sigillato al mondo che costituisce riparo e difesa dagli orrori del presente e dagli sbagli del passato che l'hanno reso assente alla famiglia e robotico e manovratore di bisturi e forbici.
"Reflection" è ostico come la guerra che occupa parte del suo spazio visivo perché è lento e meditabondo come il destino di coloro che vivono in perenne attesa di una successiva escalation di orrori.
Stilisticamente perfetto è costituito da inquadrature a camera fissa che percepiscono l'inamovibile fissità delle emozioni di Serhiy. Perfettamente orizzontali e calibrate sullo spazio, che fotografano come un frammento di tempo in un frammento di storia, le sequenze di "Reflection" sono divise tra loro da un escamotage che è sia elemento separatore che elemento di raccordo. Vasyanovych cuce ogni pezzo del puzzle con un moto in avanti della macchina che riprende una corsa nel bosco, l'incedere dell'ambulanza nel buio, il percorso di una camionetta, il trasporto del prigioniero alle docce. Alla fine di un percorso nevrotico e destabilizzante si apre alla vista quel luogo su cui Vasyanovych si sofferma per raccontare l'incubo che sta oltre l'attesa. Le sevizie su un corpo inerme, il morso di un cane, la sparatoria contro il convoglio medico, il tesissimo scambio di prigionieri tre opposte fazioni, la doccia gelata. Vasyanovych usa dunque il movimento per montare le lunghe sequenze che costituiscono croce e delizia del suo lavoro tendente alla perfezione quanto alla lungaggine.
Benché le torture a cui assiste Serhiy siano atroci il regista non si sofferma esclusivamente sugli orrori del corpo prediligendo i dolori dell'anima. Una volta tornato ai propri compiti il medico è più attento a riattaccare i pezzi della propria esistenza che a ricomporre i corpi dei soldati. Superata dalle esperienze sul campo la routine della vita civile è cambiata dalla volontà di occuparsi dei vivi con maggior consapevolezza. Serhiy non si dà pace finché non ottempera all'obbligo di sepoltura di un soldato defunto e soprattutto accoglie la sfida che la paternità comporta con maggior slancio e comprensione. E come la sequenza finale lascia presagire per Serhiy arriva il momento di lasciarsi andare, riconoscere nella famiglia il vero rifugio, e diventare egli stesso rifugio dalla mercerie fisiche ed emotive di un teatro di guerra.
"Reflection" è ancora senza distribuzione, non parlo del nostro paese dove è consuetudine l'assenza dalle sale di molti film d'interesse culturale e civile. A mancare all'appello sono ben altri paesi. Ma forse i distributori rimangono in cauta attesa come le diplomazie internazionali incapaci di fare la cosa giusta senza scontrarsi con gli interessi geo-politici dell'immediato. A farne le spese le popolazioni di guerra sospese tra l'attesa di un miracolo o delle bombe.
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