Regia di Michel Franco vedi scheda film
Sundown di Michel Franco, dopo il suo ben più manierato Nuevo Orden, è un’indagine sul come raccontare al cinema. I classici strumenti narrativi dell’ellissi e del sottinteso sono il trait d’union che costruiscono il nonsense drammatico di Franco, tanto da farci chiedere cosa effettivamente voglia dire omettere, alludere o chiarire un’informazione narrativa. Secondo quello che vuol dire “caratterizzare un personaggio” potremmo pensare a quanti sottotesti siano necessari per farci dire chi sia e cosa voglia, appunto, un personaggio: quando potremmo mai conoscerlo?, ed essere sicuri di quali rapporti abbia con altri personaggi?
L’illazione moralistica che fa lo spettatore fintantoché il rapporto fra due personaggi di Sundown non viene chiarito è sì la conseguenza inevitabile di una furberia di scrittura, ma anche un invito a sforzarci e a farci al cinema le domande giuste, a farci leggere il senso fra le sequenze. Anche a chiederci se esista un’etica del racconto, se abbiamo un qualunque diritto alla consapevolezza assoluta delle cose di un film.
Non appena il film diventa più chiaro e trasparente, a rivelare crude verità che al massimo avremmo potuto sospettare, il nonsense si rivela per quello che è: l’accumulo cinico di eventi clou della nuova enigmatica vita di Neil, attratti l’un l’altro a creare una linea narrativa ipertrofica ed eccessiva, seppur costruita da eventi plausibili. L’effetto risultante è disorientante, ed è il risultato di un filtro emotivo che impariamo a conoscere, scoprendo di esserci dentro, mentre si brucia a fuoco lento l’angoscia di un’enigma crudele.
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