Regia di Amos Gitai vedi scheda film
Un film di guerra di tipo nuovo, così come nuova è la guerra del Kippur, rispetto a tante viste in precedenza (non a caso siamo nel 1973, quando gli USA erano agli ultimi sgoccioli in Vietnam). Il nemico non si vede mai, ma sono abbastanza minacciosi quei moderni carri da guerra d'acciaio chiamati carri armati. I carri armati e le camionette dell'esercito con la stella di Davide non danno mai un'impressione di sicurezza, di "arrivano i nostri": si combatte duramente, contro un nemico, appunto, invisibile, e, come sempre, bisogna fare in fretta; gli Israeliani, infatti, sono maestri in guerre veloci, basti pensare alla famosa Guerra dei sei giorni del 1967. Ma anche le guerre brevi e veloci non sono indolori, né lo sono quelle che sembrano cominciare come una scampagnata o un'avventura picaresca, come questa, dove i due protagonisti Weinraub e Ruso, un israeliano d'origine milanese, vengono richiamati in fretta e furia e partono su una vecchia Fiat 124 (che all'epoca, tuttavia, era tutt'altro che una macchinaccia). L'esperienza sarà traumatica. Amos Gitai è un regista pacifista, a testimonianza del fastto che che sono proprio i pacifisti, probabilmente, a riuscire meglio di chiunque altro a raccontare l'esperienza bellica, quanto meno dal punto di vista delle conseguenze sulla vita dei singoli uomini che vi si trovano coinvolti. Ha scritto, con acume, Claudio G. Fava che «l'intensità con cui egli [Gitai, n.d.r.] riesce a restituire una iniziale e terribile esperienza di guerra fa di quest'opera una testimonianza di raro valore e insieme una dimostrazione di scioltezza con cui il regista, dopo un esordio come documentarista [...], ha disegnato un ritratto complesso, sfumato, profondamente critico della società israeliana, vista con appassionata partecipazione, ma anche con spietata lucidità».
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La scena di sesso iniziale tra le vernici è secondo me una delle migliori mai girate...magari ha poco a che fare con il film, comunque ottimo. Un saluto.
Non sono d'accordo che la bella seguenza iniziale abbia poco a che fare col resto del film. Come mi è capitato di scrivere, penso che la cosa si colleghi alla scelta di Gitai di non mostrare mai il "nemico", come sottolineato anche da Sasso, e di investire tutto sui rumori della guerra, sui dolori che non scompariranno più, sulla paura che solca i volti. Perchè Gitai ha "voluto iniziare e concludere il film rappresentando il tempo della vita nel mentre poi ci da notizie sul tempo della morte e contrapporre il miscuglio di colori su corpi accaldati dall'amore all'impasto di sangue e fango del fronte". Un saluto
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