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Le otto montagne

Regia di Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersch vedi scheda film

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La recensione su Le otto montagne

di Gangs 87
7 stelle

 

Pietro è figlio di una media borghesia che passa le vacanze estive in Valle D’Aosta. Ha un padre dedito al lavoro, che nei pochi giorni di ferie che si concede all’anno, scala montagne, sempre pronto a mettersi alla prova, sempre pronto a testare le sue capacità. Si trascina dietro il figlio Pietro che svilupperà nei confronti di quell’ambiente un misto di odio e amore. Odio per quel senso di inarrivabile esempio che è suo padre, portatore di un dualismo contrastante tra l’incapacità di raggiungere cotanta impeccabilità e la volontà di allontanarsi il più possibile da quel senso di rassegnazione che lo anima e amore perché lo porta a Bruno, figlio di quei luoghi, eterna vittima della solitudine e del freddo calore che solo la sua amata montagna potrà mai dargli. Il film diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, tratto dall’omonimo libro premio strega di Paolo Cognetti, è un viaggio di crescita dove la montagna è l’emblema della vita, del tempo che passa, delle cose che mutano e che in fin dei conti restano sempre le stesse.

 

Diviso in due parti dai netti contrasti: prima l’infanzia, con un pizzico di adolescenza, in cui i colori sono vivaci, il tempo passa veloce e leggiadro, poi l’età matura in cui i colori si attenuano, il tempo si dilata, la nebbia si alza come i muri emotivi che si intromettono tra Pietro e Bruno; il primo incapace di trovare la sua strada, il secondo così convinto di stare già percorrendola da ignorare tutto il resto. Questi due caratteri simili ma così diversi, sono portati sullo schermo da Luca Marinelli e Alessandro Borghi che incarnano contrasti e similitudini di due personaggi che non celano mai le loro debolezze ma, senza mai farne un vanto, le rendono strumenti con cui plasmano le loro anime.

 

Il ritmo della narrazione è costantemente altalenante il che non garantisce una visione che sia uniformemente interessante e coinvolgente ma tende ad eclissarsi lentamente con il passare del tempo; pur permanendo nella bellezza dei paesaggi che ci mostra, in netto contrasto con la grigia città volutamente sempre piovosa o nottambula, pieni di colore e spazio sconfinato dove diventa facile e automatico lasciarsi andare a ricordi e recriminazione che inclinano l’andamento della pellicola inizialmente appagante e poi insostenibile, vuoi anche per la notevole durata.

 

Per quanto sia sempre difficoltoso portare sullo schermo un romanzo (che ora ho curiosità di recuperare), il lavoro di Van Groeningen e Vandermeersch (tra l’altro al suo esordio dietro la macchina da presa) è un prodotto di notevole bellezza. Capace di cullare nella pace di luoghi poco contaminati, attraverso il racconto di un’amicizia leale e sincera ma pur sempre incapace di contrastare l’avidità del tempo e della vita. Se fosse stato possibile ridurre qualche silenzio con l’approfondimento di alcune precisazioni lasciate all’immaginazione avremmo avuto di fronte una pellicola più sostenuta ma (forse) non visivamente bella quanto questa che lascia sì un senso di insoddisfazione ma è più legato al contenuto che al contesto. Confido nella lettura del libro che spero potrà arricchire e rafforzare il senso di ciò che ho visto.

 

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