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Il disordine

Regia di Franco Brusati vedi scheda film

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La recensione su Il disordine

di mm40
4 stelle

Mario, disoccupato con la madre in ospizio, trova lavoro come cameriere nella villa di una famiglia ricchissima. Purtroppo durerà una sera sola. Poi incontra un vecchio amico e si lascia coinvolgere in una nottata brava, per trovare infine rifugio presso un sacerdote piuttosto ambiguo.

 

Franco Brusati è ricordato più spesso per il suo lavoro come sceneggiatore, sebbene abbia lasciato prove interessanti e da Autore con la maiuscola anche in veste di regista. Indubbiamente è il caso di questo Il disordine, film atipico per il panorama nostrano e dalle ambizioni altissime, purtroppo non del tutto riuscito, ma comunque godibile: una preziosa testimonianza di un'epoca d'oro per il cinema italiano, in ogni caso. Perchè un'opera di questo calibro passò inosservata fra un Rocco e i suoi fratelli (1960) o un Deserto rosso (1964), fra Il sorpasso (1962) e I compagni (1963), per tacere de La dolce vita e 8 e 1/2 (1960 e 1963): in qualsiasi altro momento, difficilmente sarebbe andata dimenticata. D'altronde senza dubbio Brusati la produsse anche grazie al fermento artistico eccezionale contemporaneo. Il disordine è un quadro viscontiano virato leggermente alla commedia (quella ruvida, impietosa, all'italiana), con borghesi annoiati dal loro stesso sfarzo e poveracci del popolino a doversi dannare l'anima per mettere insieme il pranzo con la cena; ma l'istinto fondamentale di critica sociale nella sceneggiatura (del regista e di Francesco Ghedini) viene ripetutamente smorzato dalla ricerca di un approccio ironico e al contempo psicologico nei confronti dei personaggi. Mario, il bravissimo Renato Salvatori, è un protagonista in apparenza semplicissimo, un uomo di umile estrazione sociale che si arrabatta come riesce, tirando a campare con smodati - quanto irrealizzabili - sogni di gloria; man mano che avanziamo nella narrazione lo scopriamo però sempre più sfaccettato, a suo modo nevrotico; Il disordine non può perciò essere visto soltanto come un affresco sulla borghesia, nè tantomeno sul basso proletariato. Opera seconda per Brusati, arriva a ben sette anni dall'esordio con Il padrone sono me (1955) e sarà seguito sei anni più tardi da Tenderly (1968); nel cast troviamo inoltre Alida Valli, Tomas Milian, Jean Sorel, Antonella Lualdi, Susan Strasberg e Georges Wilson. Pregio principale: la scrittura involuta che, fra le altre cose, ci tiene nascosto il protagonista fino a metà del film; difetto principale: la stessa scrittura involuta, talvolta al punto da complicare la narrazione senza motivo. 4,5/10.

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