Regia di Stephanie Zari vedi scheda film
Maternità & Psicofarmaci.
“Zebra Girl”, l’esordio nel lungometraggio (un’ora e un quarto) di Stephanie Zari (1970), scritto da Derek Ahonen e dall’eccellente attrice principale Sarah Roy [il primo sceneggiatore (da una sua pièce teatrale) e regista - come per la sua opera prima, “the Transcendents” - e la seconda interprete unica in scena - anch’ella praticamente debuttante in una produzione importante - del cortometraggio di due anni prima parzialmente alla base di tutto, “Catherine”] con la collaborazione della stessa cineasta, rientra a pieno titolo nel sottogenere del (p)revenge-movie, forse inventandolo…
Moralmente [psicologia comportamentale del singolo (in alcuni casi… multiplo) individuo, protagonista e non, che si rapporta a sé stesso e agli altri] ed eticamente (lo spettatore che confronta le azioni dei personaggi col proprio mondo interiore governato dalla propria coscienza) s’accosta ad opere quali “Promising Young Woman”, “Violation” e “Kevin Can Fuck HimSelf” (tutti film nei quali a volte non è facile empatizzare con i maggiori caratteri femminili, e in altri casi è addirittura quasi impossibile: ma per capirli non è affatto indispensabile l’einfühlung cerebrale e affettivo perché esiste, a monte, anche il dannato buon senso), mentre da alcuni punti di vista strutturali s’affianca a lavori come “Horse Girl”: tutte realizzazioni degli anni ‘20, recentissime, ad esso strettamente coeve ed imparentate, e soprattutto tutti progetti che necessitano di un minimo di ruminante lavor(ì)o “intellettuale” per poter essere compresi e assimilati.
Valido anche il resto del cast composto da Tom Cullen (“Black Mirror: the Entire History of You”, “Downton Abbey”), Jade Anouka (“Cleaning Up”, “His Dark Materials”), Isabelle Connolly, Anna Wilson-Jones e Moyo Akandé, così come il comparto tecnico-artistico: fotografia di Catherine Derry, montaggio di Benjamin Gerstein e musiche di Caspar Leopard, mentre al “rosa” ci pensano Frances Von Fleming e Aaron Close.
In colonna sonora, molto ben utilizzate, "il Mondo" (1965) di Jimmy Fontana, Gianni Meccia ed Ennio Morricone e "the WindMills of Your Mind" [(W.A.Mozart→) Michel Legrand → Noel Harrison] nella versione del 1969 di Dusty Springfield, mentre i titoli di coda scorrono su "Lacrima e Mare" di Cyril Giroux (che con "il Tuoi Baci" ha un po' di difficoltà col singolare/plurale) feat. Meike Clarelli al canto.
"Spoiler": ovviamente il titolo, assieme al dipanarsi degli eventi, contiene in sé, esprimendolo, il "colpo di scena", che l'astante anticipa ben prima del finale: poco male.
* * * ¾
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